mercoledì 20 gennaio 2010
La Regione smentisce l’Aifa e viola la 194: la Ru486 viene somministrata senza ricovero. Allarmanti dati forniti dall’assessorato regionale alla Sanità. Quasi il 6 per cento delle interruzioni di gravidanza con la pillola Ru486 ha richiesto un intervento di revisione uterina.
SECONDO NOI: Diritti & ipocrisie
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Le donne che in Emilia Romagna hanno abortito con la pillola Ru486 sono state, da dicembre 2005 a marzo 2009, 1.684 (circa 42 al mese). Tutte le interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg) sono state praticate in regime di day-hospital. Il dato è stato fornito dall’assessorato regionale alla Sanità in risposta a una interrogazione del consigliere Gianni Varani (Pdl). Le Ivg totali effettuate in Emilia Romagna sono state 11.274 nel 2007, 11.124 nel 2008 (-1,3% rispetto al 2007) e, nel primo trimestre 2009, 2.986. Nel 2007 quelle praticate con metodica medica sono state 563 (5,7% delle Ivg totali), mentre nel 2008 sono state 526 (4,7% delle Ivg totali). Nel 1° trimestre 2009 gli aborti con pillola abortiva sono stati 161, pari al 5,4% del totale. Quanto ai fallimenti dell’Ivg farmacologica, gli interventi di revisione della cavità uterina a seguito di mancato o incompleto aborto sono stati 97, pari al 5,8% delle procedure con pillola abortiva; in particolare nel 2008 si sono registrate 28 revisioni su 526 Ivg mediche pari al 5,3% dei casi. Per l’assunzione della pillola, ha anche reso noto l’assessorato, si prevede un percorso assistenziale di 14 giorni, con l’assunzione il primo giorno in day hospital (e quindi con le immediate dimissioni), un periodo di osservazione di 3 ore il 3° giorno, prolungando eventualmente il ricovero in caso di necessità o se richiesto dalla donna; infine, quando necessario o richiesto, un controllo a casa tra il 3° e il 14° giorno. Su cosa avvenga del feto espulso la risposta ufficiale è la seguente: «Poiché l’espulsione si presenta come una mestruazione abbondante non è possibile determinare in maniera esatta l’avvenuta espulsione del tessuto embrionale, pertanto il controllo clinico ed ecografico al 14° giorno è necessario per verificare l’avvenuto aborto». Per il consigliere Varani il fatto che le Ivg siano avvenute in regime di day hospital, è «palesemente in contrasto con la legge 194 e con le disposizioni nazionali associate di recente alla liberalizzazione della pillola abortiva decisa dall’Aifa», l’Agenzia del farmaco che aveva disposto il ricovero nel rispetto della legge demandando però alle Regioni l’applicazione della direttiva. Quanto riferito dall’assessorato conferma, secondo Varani, gli aspetti più discutibili della pillola abortiva, compresa la delicata questione del ricovero ospedaliero non effettivamente assicurato e l’espulsione "anonima" del feto. I dati forniti ieri dalla Regione sembrano confermare il giudizio critico espresso più volte da Paolo Cavana, docente alla Lumsa, sulle linee guida regionali per l’applicazione della legge 194 nel caso dell’aborto chimico-medico. Sorprende – afferma il giurista – che dall’Emilia Romagna non venga dato alcun rilievo ai princìpi ispiratori della legge 194, tra cui la tutela della vita umana dal suo inizio e l’esplicito divieto di considerare l’aborto come «mezzo per il controllo delle nascite», né al compito da essa espressamente assegnato alle Regioni e agli enti locali di assumere le «iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite». Dedurre la piena applicazione della 194 sulla base del mero riscontro della corretta applicazione delle sue procedure significa «darne una lettura riduttiva e fuorviante, rispetto non solo al chiaro dettato normativo ma anche alla giurisprudenza costituzionale, che ha sempre ribadito come le sue disposizioni attuano un bilanciamento tra la tutela della salute della donna e il diritto alla vita del feto, il cui sacrificio non può quindi essere rimesso alla volontà discrezionale della madre». Le statistiche della Regione non riescono a spegnere la preoccupazione delle donne. Teresa Mazzoni, esperta di questioni educative, dice che «permettere che una madre risolva da sé il "problema" del figlio indesiderato è una scelta del tipo "me-ne-lavo-le- mani", che non ha nulla a che vedere con la tutela della salute della donna. Né di quella fisica, né tanto meno di quella psicologica».
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