venerdì 4 marzo 2011
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Il governo va verso il «no» all’election day. E le opposizioni insorgono, rinfacciando lo spreco di 300-350 milioni. Ma, soprattutto, l’annuncio del ministro dell’Interno Roberto Maroni che i referendum di recente ammessi dalla Consulta non si terranno in concomitanza con le amministrative del 15-16 maggio, bensì con tutta probabilità il 12 giugno, suscita una levata di scudi per il suo significato politico: rende, infatti, più difficile il raggiungimento del quorum, cioè del 50% più uno degli aventi diritto al voto, necessario affinché il referendum sia valido.Ecco perché sono proprio i dipietristi, promotori dei referendum con gli ambientalisti (tre dei quattro quesiti riguardano acqua e nucleare, mentre il quarto è sul legittimo impedimento), i più scatenati. Anche se pure il Pd e l’Udc si fanno sentire, con il partito di Bersani che annuncia una mozione. Con il chiaro intento di smarcarsi dal pressing portato da Antonio Di Pietro. «Non abbiamo bisogno di sollecitazioni, abbiamo presentato una mozione alla Camera per l’accorpamento del voto amministrativo e del referendum», fa sapere il segretario democratico.Il maremoto viene generato da una dichiarazione di Maroni al termine del Consiglio dei ministri di ieri, che ha stabilito le date del voto per le comunali. Ancora nessuna decisione formale per i referendum abrogativi. Ma il titolare del Viminale già fa sapere che proporrà la data del 12 giugno, visto che la scadenza è il 15 del mese ed è «tradizione» tenere separati i due tipi di voto.Sale sulle ferite dei referendari, che hanno fatto, soprattutto della richiesta di abrogare il legittimo impedimento, una sorta di giudizio finale sul governo. E temono, anche se il 12 giugno la stagione è appena all’inizio, l’effetto-mare evocato nel 1992 da Bettino Craxi. Ecco perché l’ex pm di Mani pulite è particolarmente su di giri e parla di un esecutivo «impaurito, truffaldino e anche un po’ ladro». E da ieri le batterie dell’Idv sparano compatte ad alzo zero. Bersaglio privilegiato la Lega Nord. Con Stefano Pedica e Nello Formisano che danno una loro personale riformulazione del celebre detto leghista "Roma ladrona, la Lega non perdona" in «Lega spendacciona» o «sprecona». Il leit motiv della contestazione sono, infatti, i 300-350 milioni necessari per organizzare due volte in breve lasso di tempo la macchina dei seggi. Cifre «esagerate» ribattono in serata dal Viminale. Bersani rinfaccia, comunque, al Carroccio di essere «risparmioso solo quando si tratta di sventolare il Tricolore». Mentre Dario Franceschini rimanda alla discussione della mozione da lui presentata a Montecitorio e attesa per la prossima settimana. «Lì vedremo chi ha a cuore i processi del premier e chi le tasche degli italiani». Fa una proposta al ministro Mara Carfagna la vicepresidente della Camera Rosy Bindi, chiedendole di spendersi per l’accorpamento delle date elettorali e di far confluire i 350 milioni incriminati nel fondo per gli asili nido «che per i prossimi anni non prevede nuove risorse». Beppe Grillo con il suo movimento Cinquestelle, invece, vuole che gli italiani chiedano direttamente indietro dai politici 5-10 euro pro capite. Anche gli udc Antonio De Poli e Renzo Lusetti chiedono spiegazioni al governo per quello che il primo definisce «un atto di pura irresponsabilità». Il secondo evoca il «buon senso», il quale «vuole che si vada a votare per i referendum nello stesso giorno dei ballottaggi». Cioè il 29 maggio.Lo chiedevano ieri i comitati promotori davanti a Montecitorio. Lo chiede una sottoscrizione su internet all’indirizzo www.iovotoil29maggio.it, che ha raggiunto quasi 10mila adesioni. Si schierano contro la decisione del governo anche il Movimento dei consumatori, i Verdi, la Federazione della sinistra e Sinistra ecologia e libertà di Nichi Vendola che parla di «censura». In controtendenza i Circoli dell’Ambiente, che si battono per l’astensione. «Maroni ha ragione, la scelta deve essere consapevole e non indotta dalla partecipazione alle amministrative». Concetto espresso pure dal deputato Pdl Mario Valducci, per il quale «la sinistra fa pura demagogia».
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