Le responsabili e i responsabili diocesani del progetto Caritas sulla giustizia riparativa - A.Picariello
A quasi due anni dall’inquadramento - attraverso la riforma Cartabia - della giustizia riparativa nell’ordinamento giudiziario è il momento di un primo “tagliando” a un lavoro che vede coinvolti, insieme, educatori, operatori delle carceri, vittime e “rei” in un percorso che tocca le persone singolarmente, i loro vissuti interiori e interpersonali, ma riguarda la comunità intera, in ottica di prevenzione dei conflitti.
«La cultura della giustizia riparativa è l’unico e vero antidoto alla vendetta e all’oblio, perché guarda alla ricomposizione dei legami spezzati»: le parole del Papa che campeggiano al fianco dei relatori all’incontro promosso dalla Caritas italiana alla Casa Bonus Pastor in via Aurelia. Sono numeri importanti, quelli del progetto sperimentale della Caritas, che ha visto coinvolte (soprattutto nell’opera di formazione e sensibilizzazione) quasi 7mila persone nelle 8 diocesi che hanno aderito. Ma, paradossalmente, è proprio all’interno degli istituti di pena, interessati più direttamente dalla riforma della Giustizia, che si registra una frenata, «una fase di incertezza, di attesa, che ha portato alla sospensione di molti progetti, alcuni dei quali stavano procedendo bene. Una mancanza di coraggio che ha lasciato il posto alla burocrazia carceraria», è la denuncia di Andrea Molteni, sociologo della Caritas ambrosiana.
Il progetto agisce in collaborazione con il Team delle pratiche di Giustizia riparativa dell’Università di Sassari. «Si lavora a livello individuale e interpersonale, con effetti che coinvolgono l’intera comunità», spiega Patrizia Patrizi, docente di Psicologia giuridica e pratiche di giustizia riparativa a Sassari, presidente dell’European Forum for Restorative Justice, e coordinatrice del progetto: «Non sempre è possibile la mediazione, a volte bisogna accontentarsi di aprire almeno il dialogo, avendo sempre chiaro l’obiettivo, che è l’aiuto alla persona». Ma poi scatta quella che la professoressa Patrizi chiama, «l’alchimia del momento», a rendere percorribili strade impensabili il giorno prima in un «viaggio» che non riguarda solo le persone coinvolte (vittime e rei) o i mediatori impegnati a facilitare l’incontro. Ne beneficia un’intera comunità, l’affermazione di un clima, di un metodo, nei rapporti umani, che Gherardo Colombo propone di applicare sin dalle liti condominiali, emblematiche di un clima che rende le persone, da vicine che sono fisicamente, sempre più lontane, sempre più ostili e prevenute fra loro.
I numeri
Otto, come detto, sono le Caritas diocesane coinvolte: Agrigento, Ancona, Cerignola, Fossano (oggi Cuneo-Fossano), Milano (in particolare la zona di Lecco), Napoli, Prato e Verona. Sono 137 i percorsi tracciati, 203 gli incontri di sensibilizzazione effettuati, 356 quelli di formazione e 94 gli interventi strettamente di giustizia riparativa avviati, molti di più dei 64 messi in programma all’inizio, perché altre esigenze sono emerse cammin facendo.
Le buone pratiche
Questo fenomeno innovativo vive di “buone pratiche” da implementare, più che di progettazione, e si alimenta con il metodo del “contagio” positivo, facendo uso a piene mani di sano pragmatismo.
Lo si evince ascoltando gli appassionati racconti delle diverse esperienze sul territorio delle Caritas diocesane. Gaetano Panunzio per Cerignola-Ascoli Satriano; Maria Paola Longo per Fossano-Cuneo: Alessandro Ongaro, di Verona, Annalisa Putrone di Agrigento; Micaela Furiosi, di Lecco, per la Caritas ambrosiana; Fabiola Sampaolesi per Ancona-Osimo; Valentina Ilardi di Napoli; Carlotta Letizia, di Prato. Moderati da Gian Luigi Lepri, psicologo coordinatore del Team allestito dall’Università di Sassari offrono una dimostrazione sorprendente di dove può arrivare questa nuova pratica che fa tesoro degli insegnamenti del Vangelo e dei valori della Costituzione, a beneficio della comunità intera, eppure fatica ancora a essere compresa in tutta la sua portata innovativa.
La speranza fa capolino anche nell’inferno tristemente leggendario del carcere di Poggioreale; nelle attività di reinserimento di Cerignola, con la sua fabbrica di caramelle; o di Lecco, con la gestione di servizi sociali in una proficua collaborazione pubblico-privato. Un lavoro che sfocia a volte in attività non messe nel conto, in cui le istituzioni chiedono un aiuto per sanare una ferita nel corpo della società che nessuna pena da sola sarà in grado di curare. Colpisce il racconto che viene da Agrigento, in cui agli operatori della giustizia riparativa è stato chiesto di provare a mettere pace fra due gruppi di ragazzi, un tempo amici e che sono finiti invece in un’aula di tribunale, a seguito di una rissa.
La “lezione” del giudice
Gherardo Colombo, uno dei giudici simbolo di “Maniipulite”, ossia della giustizia di che digrigna i denti, è oggi uno dei teorici più attrezzati di questo nuovo filone «che non fa altro che declinare i principi della Costituzione», spiega. «Perché porta ad essere considerati, e a considerare gli altri degni di attenzione. Cercando di comporre i conflitti, invece di esasperarli. La giustizia si preoccupa di stabilire in genere chi ha ragione e chi torto, e tutto si chiude lì. Mentre qui si apre un percorso fra persone, applicabile a qualunque conflitto, anche fuori dalla sfera penale. È un percorso non semplice, perché riporta alla luce il dolore subìto e il male commesso. Un percorso che deve essere praticato, e praticato bene - continua Colombo -, anche perché la giustizia riparativa continua a non essere vista particolarmente bene. Mancano i decreti attuativi, e questo ritardo crea una situazione pericolosa». L’ex giudice del “pool” ci mette del suo, come presidente della Cassa delle Ammende, a finanziare, con Caritas, alcuni progetti.
La Caritas ci crede. «È un lavoro che affonda le sue radici nel Vangelo», dice il direttore di Caritas italiana don Marco Pagniello. «Un paradigma da allargare a tutti i nostri interventi. Dove c’è un povero lasciato solo il nostro compito è fare comunità intorno a lui».