Chi da sempre vive da criminale, e criminali sono i suoi pensieri, e frequenta solo altri criminali, beh, la sua vita è molto, molto difficile da comprendere per noi. Impossibile, forse. Appartengono a un mondo totalmente diverso. Così rimasi stupito quando mi chiamarono... Ero appena arrivato. Loro erano cinque detenuti dell’alta sicurezza, la sezione della criminalità organizzata: mafia, camorra, ’ndrangheta, sacra corona unita. Un altro mondo. Però mi chiamano. Hanno tutti pene pesanti da scontare, fino a 2025 anni. Lo ammetto: detenuti così li immaginavo 'senza speranza'. Ma loro no. Eppure la disperazione sarebbe stata una tentazione facile.Loro invece mi cercavano. Avevano già cominciato un percorso, capace di dare un senso a tutti quegli anni da trascorrere in carcere. Ma quel percorso sentivano che aveva bisogno di 'visibilità', di una forma di riconoscimento anche di fronte alle istituzioni. La voglia di riscatto non poteva rimanere confinata nei loro cuori. Era un gruppo vero e proprio, per quanto piccolo, quindi bisognava darsi un nome: 'Il laghetto pensatore', con il trattino tra 'la' e 'ghetto', perché erano acqua capace di ospitare e dare vita, ma erano anche, oggettivamente, rinchiusi. E il 'pensatore'? Pensiero, ossia riflettere sui propri personali percorsi criminali e maturare un futuro fatto di riscatto e reinserimento. Cominciava così un percorso umano, culturale e anche spirituale, scandito da periodici incontri personali. Riprendono in mano i libri. Riescono a ottenere il diploma, alcuni si iscrivono all’università. Avevamo un giornalino, 'In comunione', un fatto eccezionale per l’alta sicurezza. Ogni mese riuscivo a farlo pubblicare come inserto centrale nel settimanale diocesano. Di una cosa ero soprattutto orgoglioso: non era fatto di piagnistei, come purtroppo accade in tanti fogli simili. Invece grondava ottimismo, a partire dall’atteggiamento critico e da una chiara presa di distanza dalle scelte criminali del passato. E poi c’era il teatro, testi scritti da loro, un pubblico fatto di studenti. Poi tutto è finito. Alcuni di loro sono stati trasferiti, l’alta sicurezza smantellata; e le istituzioni faticavano a reagire, di fronte a un percorso così proficuo e limpido. Forse non credevano abbastanza in loro... Con molti ho mantenuto i contatti. Uno è fuori, in semilibertà, e lavora. Ne sono felice. Il perdono lo vedevo e vedo in loro. Nel desiderio di reinserirsi, nella richiesta di aiuto. Perdonateci, e dateci credito. Perdonateci, e offriteci un’altra possibilità.
(Storia raccontata da don Raffaele Sarno, Trani)