Contro il femminicidio non bastano le buone leggi. Non basta la repressione poliziesca. Si fa strada la consapevolezza che alcuni errori educativi possono generare, in perfetta buona fede e con le migliori intenzioni, personalità maschili talmente fragili da risultare permeabili alla tentazione della violenza.
Ecco un paio di idee per affrontare le priorità educative che ritengo più urgenti.
Liberare i bambini dall’eccesso di soffocamento materno. Viviamo un eccesso di ruolo materno, di cura, di controllo. Le madri a volte soffocano i figli. Fuori dal lettone dopo i 3 anni; giù dal passeggino a 4 anni; via il pannolino a 2 anni; autonomia nelle pratiche di pulizia personale dai 5/6 anni. I bambini vanno liberati. So di madri che, per eccesso di zelo e di controllo, curano l’igiene del figlio di 9 anni e lo tengono nel lettone con sé, e non si rendono conto di mantenere il proprio bambino in una situazione di ambiguità, anche un po’ morbosa, in cui il piccolo fatica a sviluppare autonomia e vive situazioni che possono essere fonte di umiliazione e frustrazione profonda. Il desiderio, poi, di eliminare la figura femminile può nascere anche da qui.
Occorre che entri in gioco il padre: non il padre amicone, divertente, sempre disponibile. Parlo del padre paterno, che mette limiti, che incentiva l’autonomia, che stimola l’esplorazione della vita e valorizza la fatica del crescere senza diventare dispotico. E, quando il padre non c’è, alla madre tocca anche questo ruolo paterno di crescere figli autonomi e responsabili, non bambini annoiati da tutto, con la vita facile e le difficoltà azzerate.
La virilità è una questione di argini, limiti, sponde, coraggio e avventure. Aiutarli a litigare bene. Aumenta nei ragazzi la carenza conflittuale. Si tratta dell’incapacità di affrontare e gestire le difficoltà relazionali. La violenza contro le donne non ha matrici passionali o amorose: è brutalità allo stato puro, incapacità totale di gestire le proprie reazioni emotive, volontà di possesso e di dominio assoluto, come se i corpi fossero una proprietà privata e potessero essere resi in schiavitù perpetua. Agli uomini violenti nessuno ha insegnato a litigare bene.
Il litigio infantile è stato sostanzialmente represso e punito, con punizioni anche particolarmente violente e pesanti. Questo ha impedito, e può ancora impedire ai bambini di imparare a stare nelle contrarietà. Non imparano ad ascoltare l’opinione degli altri; non imparano ad affrontare la divergenza; non imparano a tollerare un’opposizione alla propria volontà. Sviluppano così una profonda incapacità a relazionarsi bene nelle situazioni critiche e finiscono con l’esplodere. Da qui la rabbia e la violenza.
Meglio che imparino a litigare da piccoli, potranno acquisire competenze preziose per il loro futuro di uomini. L’adulto aiuta i bambini a scambiarsi tra di loro le reciproche versioni del litigio. Non punisce ma stimola il confronto. Un giovane maschio cresciuto nel rispetto delle regole, nella soddisfazione dell’autonomia e nel riconoscimento delle ragioni altrui, non potrà essere un uomo violento con una donna. E saprà vivere la sua identità maschile senza dover negare quella dell’altro sesso.
*Pedagogista