lunedì 10 febbraio 2014
Il procuratore antimafia Roberti: l’azzardo legale non ha tolto spazio ai clan. Anzi. Terra dei fuochi? «Sono gli imprenditori che troppo spesso si rivolgono ai criminali per lo smaltimento illegale».
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Il dramma della "terra dei fuochi": «Il traffico illecito di rifiuti non è un reato mafioso ma reato d’impresa» e «questa e una riflessione che nessuno fa a cominciare da Confindustria». La legalizzazione del gioco d’azzardo «non ha sottratto spazi alle mafie anzi il contrario» e anche per questo «sono contrario alla liberalizzazione delle droghe leggere che non è né possibile né auspicabile».È a tutto campo Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia. Affermazioni nette frutto della sua lunghissima esperienza nella lotta ai clan. E si toglie anche qualche "sassolino" dalle scarpe denunciando chi «dà eccessivo spazio sui giornali ai pentiti» a cominciare dal camorrista Carmine Schiavone «che in televisione sta raccontando cose vecchie già verificate tanti anni fa». L’occasione per questo colloquio è l’assegnazione del "Premio città di Sessa Aurunca" a lui e al coraggioso imprenditore Tonino Picascia, che ha denunciato le richieste estorsive.Il bel "salone dei quadri" è pieno di studenti. Accanto al procuratore il vescovo Francesco Orazio Piazza, amico di vecchia data del magistrato che viene dalle scuole dei gesuiti ed è stato anche presidente degli ex alunni. Ai ragazzi, che hanno partecipato a iniziative sulla legalità, affida un’importante riflessione. «Bisogna attuare i principi fondamentali della Costituzione, soprattutto quelli della prima parte, ancora parzialmente attuati. Come gli articoli 3 su uguaglianza e dignità e 4 sul diritto-dovere al lavoro. Noi – avverte – abbiamo l’obbligo di promuovere questi fondamentali articoli della nostra Carta perché le mafie sfruttano la miseria e la disperazione a proprio fine e interesse». E in questo trovano complicità come nel dramma della "terra dei fuochi". Una vicenda che il procuratore conosce molto bene. «Fin dagli anni ’90 i camorristi ci spiegavano che i rifiuti arricchivano come la droga . Ma i traffici organizzati di rifiuti hanno in primo luogo una matrice imprenditoriale. Cioè è l’imprenditore che produce i rifiuti che si rivolge alla criminalità organizzata per smaltirli illegalmente. La criminalità mette a disposizione il servizio illegale, ma se l’imprenditore che produce i rifiuti non decidesse di smaltirli illegalmente per risparmiare il fenomeno non ci sarebbe». Proprio su questo, aggiunge Roberti, «ci vorrebbe una maggior presa di coscienza e assunzione di responsabilità anche da parte di Confindustria. Questa è una riflessione che nessuno fa. Il traffico di rifiuti non è un reato di mafia ma un reato d’impresa a componente mafiosa». Ma poi denuncia anche «la responsabilità di chi per soldi ha accettato in silenzio che fossero scaricati rifiuti tossici sul proprio terreno».E in tema rifiuti il procuratore è anche molto duro con l’ex collaboratore di giustizia Carmine Schiavone che con le sue interviste impazza su giornali e tv. «Probabilmente sta parlando perché vuole rientrare nel sistema di protezione ma non sta dicendo niente di nuovo. La responsabilità è di chi gli sta dando spazio sui giornali. Quello che ha detto nel passato è stato verificato anni fa e non è emerso allora quel quadro allarmante che ora vorrebbe rilanciare con le sue interviste televisive. Noi, invece – prosegue Roberti – abbiamo accertato autonomamente gli illeciti sversamenti di rifiuti, ma non grazie alle sue dichiarazioni ma grazie a quelle di altri collaboratori di giustizia come l’imprenditore di rifiuti Gaetano Vassallo». E proprio il caso di Schiavone è occasione per una riflessione più generale. «Il contributo dei pentiti è importante per la conoscenza delle mafie ma negli ultimi tempi da fondamento basilare sono diventati meno importanti. La loro parola da sola non vale niente se poi non abbiamo i riscontri». Ma poi c’è un problema quando queste dichiarazioni diventano pubbliche. «Tutto serve alla ricerca della verità. Altro è la propalazione delle loro dichiarazioni, spesso illegale. È un grande problema deontologico che riguarda la professione giornalistica. Su questo abbiamo un problema di carenza normativa. Così non c’è poi uguale clamore per smentite o rettifiche».Affermazioni che sicuramente non piaceranno a molti. Come quelle in tema di azzardo e droghe. «Il gioco d’azzardo è uno dei grossi affari delle mafie. La sua legalizzazione non ha sottratto spazi ai clan perché questi fanno sempre un’offerta concorrenziale. L’hanno fatto col contrabbando di sigarette, lo farebbero anche nel caso fossero legalizzate le droghe leggere». E proprio su questo Roberti è molto netto. «Le droghe leggere sono appannaggio delle mafie al pari della cocaina e delle droghe sintetiche. Liberalizzarle non è possibile né auspicabile. Attuare la liberalizzazione non toglie affari alle mafie. Non è vero, così come è già stato, lo ripeto, con le sigarette e con l’azzardo».
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