lunedì 11 marzo 2024
Il procuratore capo di Palermo in dialogo con gli studenti dell'Università Cattolica nell’ambito dell’iniziativa “Avvenire in Campus”
De Lucia sui dossier: «Chi ha sbagliato paghi. Ma l'Antimafia non si tocca»
COMMENTA E CONDIVIDI

Sembra evidente che «qualcosa non abbia funzionato nella catena dei controlli» e «se qualcuno ha sbagliato deve pagare», così come «i controlli vanno migliorati. Ma sentir dire, anche da autorevolissimi giuristi, che è il caso di ripensare gli strumenti dell’antimafia» a partire dalla Procura nazionale, «lascia il tempo che trova». Non si sottrae alla domanda “scomoda”, il procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia, e senza entrare nel merito delle polemiche di questi giorni sui presunti dossier, fa chiaramente capire che l’argine da proteggere è in via Giulia a Roma, sede della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Uno strumento fondamentale nella lotta alle cosche, pensato da Giovanni Falcone. Alla Dna De Lucia ha lavorato come sostituto per 8 anni, dal 2009 al 2017, e non ci sta a sentirla mettere in discussione. Ne ha illustrato la struttura e le funzioni «di condivisione e coordinamento delle indagini» tra le 26 direzioni distrettuali durante l’incontro con gli studenti dell’Università Cattolica di Roma, organizzato dall’ateneo e dal nostro giornale nell’ambito dell’iniziativa “Avvenire in Campus”.


L’incontro, intitolato “Cosa loro, la mafia negli anni 2000”, ha dato l’occasione agli studenti che giovedì sera hanno riempito la sala Italia del Centro congressi della Cattolica di interloquire con il magistrato titolare delle indagini che a gennaio dello scorso anno portarono all’arresto del boss Matteo Messina Denaro, mettendo fine a una latitanza trentennale. Dopo i saluti del direttore generale dell’Università Cattolica Paolo Nusiner e del vicedirettore di Avvenire Francesco Riccardi, De Lucia, che a quell’arresto ha dedicato anche un libro scritto per Feltrinelli con il giornalista Salvo Palazzolo (“La cattura-I misteri di Matteo Messina Denaro e la mafia che cambia”), ha spiegato che «Cosa nostra ha una struttura complessa ed elastica, quindi non è mai uguale a se stessa ma in qualche misura è sempre uguale a se stessa. E ha delle caratteristiche, che sono quelle dello Stato: un territorio, un popolo (i cosiddetti “uomini d’onore”), delle regole».

Si tratta di regole precise, ma “al contrario”, cioè contro la legalità e la libertà, per cui anche il significato di parole come “onore” e “onestà” viene distorto. Lo stesso vale per il rapporto con la religione, come testimoniano l’odio verso la Chiesa per la sua condanna della mafia, l’uccisione di don Pino Puglisi e le bombe del 1993 a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro, due mesi dopo il potente discorso di San Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi. Dopo la cattura e la morte del suo ultimo leader carismatico, appunto Messina Denaro, Cosa nostra vive «un momento oggettivo di crisi - ragiona il procuratore De Lucia - perché tutti i capi sono stati processati e condannati, ma c’è, come dimostra l’omicidio di pochi giorni fa a Palermo, ed è attiva su più fronti. Cerca di dotarsi nuovamente di una struttura di comando e di finanziarsi con il traffico di droga per recuperare le ricchezze perdute grazie alla legge Rognoni-La Torre sulla confisca dei beni». Tra i temi centrali del dialogo con i ragazzi, l’importanza della scuola e dell’università come veicoli di diffusione della cultura della legalità, senza la quale poco possono sia un sano sviluppo economico sia l’azione giudiziaria e investigativa di contrasto al fenomeno mafioso. «Quando vado nelle scuole ringrazio gli insegnanti - ha raccontato il procuratore di Palermo - perché noi interveniamo in presenza di situazioni patologiche, loro invece sono costruttori di cittadini».


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: