giovedì 11 settembre 2014
Tre disegni di legge ancora in discussione a Montecitorio. Il pressing delle associazioni: le famiglie vanno aiutate. Si pensa a fondo comune.
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Una legge sul “dopo di noi” entro il 3 dicembre, giornata internazionale della disabilità. Ci si era lasciati con questo programma – prima della pausa estiva – in commissione Affari sociali alla Camera, dove dall’11 giugno è iniziata la discussione dei tre ddl in materia (n.1352, n.2205 e n.2167). Ed è lo stesso auspicio con cui si è concluso a fine luglio l’incontro dei parlamentari con le associazioni. Una promessa che, adesso, ci si aspetta la politica rispetti. Oggi intanto a Montecitorio si torna a parlare dell’assistenza ai disabili senza famiglia con l’audizione in commissione dei rappresentanti della Federazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish), della Federazione tra le associazioni nazionali delle persone con disabilità (Fand), dell’Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettive e relazionale (Anfass), del Forum italiano sulla disabilità (Fid) e dell’Unione famiglie handicappati (Ufha). Ma al di là dei fondi – seppur importanti – la parola d’ordine resta quella di fare presto con scelte complessive sulla non autosufficienza. Nei testi depositati alla Camera, infatti, ricorre l’idea di istituire un fondo speciale “Dopo di noi” (con uno stanziamento che varia da 300 milioni di euro all’anno a 100 milioni per il prossimo triennio), per garantire una vita dignitosa ai disabili anche quando la propria famiglia d’origine non ci sarà più. Un diritto che finora viene assicurato quasi totalmente da associazioni e fondazioni, con l’incertezza tuttavia di un’ospitalità definitiva. Ecco perché, adesso, urgono risposte concrete dalle istituzioni, anche se il fattore spending review non fa ben sperare sulle risorse a disposizione. Prima di valutare gli stanziamenti, comunque, ci si dovrà mettere d’accordo sui principi generali. Ne è convinto il presidente della Fish,Vincenzo Falabella, il primo che stamani sarà ascoltato dalla commissione. «Ci sono due temi irrisolti e affrontati in modo frammentario – dice –: il diritto alla vita indipendente e il rifiuto della segregazione», visto che scegliere dove vivere e come vivere la propria esistenza non è ancora garantito a molti disabili. Non è solo e tanto, quindi, una questione di fondi, ma di «scelte politiche». Serve nell’ambito della disabilità una «scelta epocale» che costringa a «ripensare le risposte, i servizi, le responsabilità, i percorsi in una logica d’inclusione e non di luoghi speciali ». Certo il testo unificato all’esame della commissione è un punto di partenza ma, per il presidente dalla Fish, presenta «molti coni d’ombra» e soprattutto «non contiene in modo netto l’espressione dei principi di diritto a cui il legislatore dovrebbe ispirarsi». Testo migliorabile, dunque. Anche perché ben venga un fondo ad hoc, affiancato però – aggiunge Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell’Associazione italiane persone down – «a interventi mirati non solo a gestire un anno la struttura d’accoglienza, ma a consentire la sopravvivenza nel medio e lungo periodo». E questo vuol dire, continua, supportare la quotidianità, «attivare un percorso di educazione e crescita di queste persone», perché «il dopo di noi è solo l’inizio della loro storia ». A sollevare l’urgenza di un fondo speciale economico è stato anche Felice Previte, presidente di Cristiani per servire, in una lettera-appello inviata al ministro per le Politiche sociali Giuliano Poletti. Una “cassa” nel quale far confluire anche «quelle parti di patrimonio o risparmi che in eredità andrebbero ai loro familiari invalidi fisici o psichici», gestito da un ente pubblico, «sempre operante ed attivo garantendo una continuità che la persona fisica non è in grado di garantire». Perché il mondo della disabilità – conclude – è formato «non da progetti di natura privata, ma da necessità collettive e non ha tempi di attesa».
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