Buchi neri. E non soltanto per il vuoto che lasciano nelle classi. I ragazzi che ogni anno abbandonano la scuola sono voragini nel tessuto educativo che il sistema d’istruzione del nostro Paese dovrebbe intrecciare senza sbavature. «Una scuola di tutti, che tuttavia non riesce ancora ad essere la scuola di ciascuno». Lucia Micheletto sa di cosa parla. Da quattro anni dirige il Centro regionale per le difficoltà di apprendimento che la Fondazione Opera Edimar gestisce in collaborazione con l’Università di Padova. Una realtà, tanto per dirla in numeri, che ogni anno grazie ai suoi centri di aggregazione giovanile presenti sul territorio rimette nei binari quasi 1000 ragazzi a rischio dispersione o già fuori dai percorsi scolastici tradizionali.
È possibile tracciare un identikit di questi ragazzi?Hanno storie di fatica alle spalle. Hanno accumulato sofferenze scolastiche e a un certo punto vanno in tilt. Questo è l’unico denominatore comune, quando si parla di ragazzi a rischio dispersione. Le cause di questo blocco, invece, sono le più disparate: ci può essere un disagio familiare, una scelta di percorso sbagliata, un complesso fisico o psicologico.
Le loro difficoltà sono temporanee, dunque.Assolutamente sì. La maggior parte di quelli che hanno lasciato la scuola e che arrivano, per esempio, nel centro di aggregazione 2You di Padova, sono convinti di essere “deficienti”. Si definiscono
loro, in questo modo. La verità è tutt’altra: questi ragazzi hanno semplicemente avuto un intoppo, un bisogno, e in quel momento è mancata loro una risposta.
Dalla scuola?Da quella scuola avanzatissima in termini di offerta e ancora così rigida nell’organizzazione dei percorsi. Da quella scuola di tutti che, nel nostro Paese, non pensa ancora a ciascuno. E non mi riferisco a un metodo didattico individualizzato, attenzione: ai ragazzi non serve una scuola che abbia un precettore e una classe per ognuno di loro. Un metodo per ognuno, però, sì. Un percorso personalizzato, sì. Quando nel nostro centro arriva un adolescente che ha mollato la scuola prima dell’esame di terza media, la prima cosa che gli educatori fanno – in accordo con la scuola – è capire come farlo arrivare a dare quell’esame. Capire come fare
con lui, con quale strategia, con quale percorso: se ha bisogno di un metodo più induttivo per ritrovare stimoli, oppure se ha bisogno di essere seguito più da vicino, o ancora se le sue difficoltà derivano da lacune di base che sono state ignorate per troppo tempo e che vanno colmate. Superare le difficoltà di apprendimento fa parte del diritto all’apprendimento che è sancito dalla legge italiana: va garantito sempre, non solo quando sussistono gravi disturbi o handicap.
Per questo motivo sono nati i centri di aggregazione giovanile 2You come quello di Padova?Sono nati – era il 2006 – grazie a un progetto voluto e finanziato dal ministero dell’Istruzione e mirato proprio a costruire un’alleanza tra la scuola ed enti educativi esterni per la prevenzione dell’abbandono scolastico. L’idea ha avuto successo: nel corso degli ultimi quattro anni tutti e venti i centri 2You in Italia hanno fatto molto per i ragazzi “di confine”, grazie all’impegno di educatori preparati e grazie a una passione educativa sconfinata.
Una ricetta semplice, pare...Lo è, in effetti, Lo è, in effetti, anche se con qualche difficoltà visto che dopo il progetto ministeriale – di durata quadriennale – gli enti pubblici, perlomeno nel nostro territorio, non si sono ancora impegnati per proseguire le attività. Resta pertanto ancora molto da fare: in questa direzione e in quella di alleanze tra le istituzioni scolastiche e le realtà educative presenti sul territorio che sappiano interagire con le prime offrendo ai ragazzi una vera prevenzione, cioè una seconda chance.