mercoledì 27 gennaio 2021
Fermati tre uomini: filmavano le violenze e le postavano sui social. Almeno 9 i video agli atti dell'inchiesta. Le torture ai danni di persone fragili, in casa e fuori. Le parole dell'arcivescovo
Un fermo immagine di uno dei video postati dagli aguzzini di Licata

Un fermo immagine di uno dei video postati dagli aguzzini di Licata - Video Polizia Postale

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Con spavalderia e arroganza si gloriavano della loro bestialità riprendendo le loro vittime con i passanti ad assistere a quelle scene indifferenti. C’è da restare senza parole ed agghiacciati a leggere l’ordinanza con cui il procuratore capo della Procura di Agrigento Luigi Patronaggio e il sostituto Gianluca Caputo hanno disposto il fermo per indiziato di delitto, eseguiti dai carabinieri di Licata, per tre giovani uomini del centro dell’agrigentino. 36, 26 e 23 anni l’età di questi uomini, padri di famiglia che, per divertimento e per qualche “like” sui social si sono trasformati nei carnefici di persone disabili o con incapacità di intendere e di volere. E le loro eroiche gesta le hanno tutte filmate. Almeno 9 i video finiti agli atti dell’inchiesta. Tutti dello stesso tenore.

In uno è ripreso con un cellulare un uomo con disabilità all’interno di un’abitazione ed un soggetto che lo schiaffeggia ripetutamente in volto, gli tira la barba, strattonandolo violentemente. E ad un certo punto dopo le vessazioni, gli sputa addosso, fino a quando la vittima terrorizzata, chiamandolo per nome gli chiede di cessare l’aggressione nei suoi confronti.

Altre immagini riprendono un disabile disteso a terra sul marciapiede di una strada di Licata, completamente legato con del nastro adesivo per imballaggi e contemporaneamente si sente una voce che rivolgendosi alla vittima gli chiede se sia stato legato con lo scotch. Vittima che chiede aiuto, verosimilmente ad una passante: «Signora, chiama i carabinieri». Non interverrà nessuno e nessuna chiamata arriverà ai numeri delle forze dell’ordine.

Un fermo immagine di uno dei video postati dagli aguzzini di Licata

Un fermo immagine di uno dei video postati dagli aguzzini di Licata - Video Polizia Postale

E mentre per le strade di Licata quei giovani venivano malmenati, scherniti e addirittura «imballati» e chiedevano, a gran voce, aiuto, i passanti anziché fermarsi per prestare soccorso o chiedere, anche anonimamente, aiuto alle forze dell’ordine, si giravano dall’altra parte, anzi acceleravano il passo, quasi a non vedere, quasi a non sentire.

Il branco agiva in strada a bordo di ciclomotori o autovetture nelle loro disponibilità. Come è stato accertato nei video sequestrati, i quali per almeno un mese a Licata, sono girati da cellulare a cellulare, via whatsapp o scaricati attraverso facebook. I disabili erano scelti a caso e fatti oggetto di veri e propri agguati.

In particolare uno degli aggressori, scrivono i Pm, «avrebbe picchiato un uomo, invalido civile, afferrandolo per i capelli e sbattendogli la testa ripetutamente e violentemente su una saracinesca in ferro. Dopodiché, ridendo, si dirige sull’autovettura ed unitamente ad un altro soggetto si allontana a bordo dello stesso veicolo».

«Non è possibile nascondere lo sconforto e la rabbia per quanto accaduto a Licata». Commenta così il direttore di Caritas diocesana Agrigento, Valerio Landri. «La vigliacca ferocia scatenata contro vittime indifese è un pugno sullo stomaco per tutti noi. Rivela come i social siano ormai troppo spesso un mezzo per trasmettere l’anti-cultura dell’odio e del disprezzo per la dignità umana. Quelle immagini non rappresentano Licata, che è ricca di gente di alti valori, ma solo una sua piccola parte, la peggiore».

«Quanto accaduto oltre a colpirci emotivamente deve spingerci al cambiamento, perché non si ripeta mai più; deve convincerci che - come uomini e come cristiani - siamo realmente chiamati ad essere "custodi" gli uni degli altri, soprattutto dei più fragili e indifesi» hanno detto l’arcivescovo di Agrigento, cardinale Francesco Montenegro, e l’arcivescovo coadiutore Alessandro Damiano. «Come comunità cattolica – proseguono i presuli – dobbiamo sentirci fortemente interpellati dal quel grido di aiuto rimasto inascoltato: le nostre parrocchie devono sempre più mettere al centro della propria attenzione pastorale le persone vulnerabili e quanti in questa società vivono l’esperienza della marginalità sociale».

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