In carcere, di solito, la vita cambia. In peggio. Perché si sta stretti in celle sovraffollate, perché spesso la detenzione diventa scuola di delinquenza, perché la violenza detta legge tra i detenuti.... e l’elenco potrebbe continuare. Ma nel mondo carcerario accadono fatti che vanno in direzione contraria, che lasciano filtrare una luce di positività in un universo umano abituato a vivere nel buio. A un magistrato può accadere di scoprire che le ferite di un detenuto diventano feritoie aperte sul mistero della sua esistenza. A un detenuto può accadere di incontrare chi non lo guarda a partire dal reato che ha commesso ma dalla consapevolezza che un uomo non è definito dal suo errore. «Giustizia e persona», scritto dal giornalista Stefano Filippi (Bietti editore), documenta come la vita può cambiare in meglio anche dietro le sbarre, quando a guardarsi in faccia sono gli uomini prima dei ruoli e delle divise. Quando si intuisce che il bisogno di ciascuno è infinito, e ci si può aiutare a entrare in rapporto con questo infinito. Lo aveva colto trent’anni fa, varcando la soglia di San Vittore, una giovane insegnante momentaneamente prestata alla politica, Mirella Bocchini, consigliere comunale della Dc nella Milano che faceva i conti con la pesante eredità degli anni di piombo. Insieme ad alcuni amici fonda l’associazione Incontro e Presenza, che oggi opera con 100 volontari nelle carceri di San Vittore, Bollate e Opera a favore di detenuti, di tanti 'ex' e delle loro famiglie.Dal racconto emerge lo spessore umano di chi si misura quotidianamente con questo mondo, facendo i conti con le sue note carenze e con tante promesse non mantenute, ma mettendoci del suo per renderlo più umano. Accade così che Santo Tucci, entrato in galera nel 1972 all’età di sedici anni e sulla cui pratica sta scritto 'fine pena 2030', dopo avere scatenato risse e rivolte, essere evaso più volte, avere subito svariate condanne e conosciuto i 'braccetti della morte' dove l’unico sentimento che lo faceva 'sentire vivo' era l’odio, riconosce che la molla del cambiamento è scattata nell’incontro con un volontario che ha riaperto la finestra dell’umano chiusa da troppo tempo. Quella finestra l’hanno aperta in tanti, grazie all’incontro con direttori di carcere e magistrati di sorveglianza illuminati, con volontari e imprenditori che li hanno aiutati a percorrere la strada del riscatto imparando un lavoro e preparandosi a tornare in una società che avevano ferito. La questione decisiva è stata non sentirsi schedati in una categoria, ma guardati come persone, comunque più grandi del reato commesso. E allora quello che molti (non senza ragione) continuano a ritenere il posto peggiore dove campare, può diventare luogo della rinascita. Non aveva torto, il buon Giambattista Vico, quando scriveva, quattro secoli fa: «Paion traversie, e invece sono opportunità».