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Speranza: è questo il termine risuonato più volte nella conferenza stampa che ha preceduto la firma del Protocollo per l’impiego di detenuti nella ricostruzione post sisma del 2016. «Un buon esempio per riuscire a dare speranza» ai detenuti e, più in generale, ad un sistema carcerario «che ci riguarda tutti. E tutti dobbiamo contribuire anche alla “ricostruzione” delle persone», come ha rimarcato il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi. Quella speranza che, per quanto riguarda il tassello della certezza della pena, «va coniugata anche con il senso etico e cristiano e mai deve essere crudele», come ha sottolineato dal canto suo il ministro della Giustizia Carlo Nordio. E ancora, la “spem” contenuta anche nel motto della Polizia penitenziaria, come ha ricordato Lina Di Domenico, vice capo del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Una speranza che si traduce dunque in opportunità lavorativa e di reinserimento sociale per centinaia di detenuti (spetterà al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, in accordo con la magistratura di sorveglianza, individuare quelli in possesso dei requisiti di idoneità per lo svolgimento del lavoro all’esterno, sia uomini che donne ma non minori) ospiti di 35 carceri presenti nelle zone del terremoto 2016 tra Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria.
«L'esperienza ci dimostra che quando una persona apprende un lavoro in carcere, e poi viene liberata, la recidiva è minore», ha detto il ministro Nordio, auspicando, come gli altri intervenuti, che si arrivi poi alla recidiva zero. «Il lavoro nell'espiazione della pena è uno degli elementi che deflaziona non solo il sovraffollamento, ma anche la tensione nel carcere ed è un elemento che stiamo fortemente perseguendo, insieme a quello dello sport. In questo caso, c’è il valore aggiunto che un detenuto possa contribuire a riedificare un luogo di culto. E la mia aspirazione è che queste persone possano poi a loro volta fare da guida ad altri detenuti», ha concluso Nordio.
Per il cardinale Matteo Zuppi «questo protocollo ha una doppia valenza: da una parte dà la possibilità ai detenuti di lavorare, restituendo loro dignità e aprendo orizzonti di futuro. È significativo che questa rinascita parta proprio dai cantieri della ricostruzione, in territori feriti ma desiderosi di ricominciare. Dall'altra parte, ricorda che il carcere è per la rieducazione e la riparazione, mai solo punitivo. In questo senso, le pene alternative aiutano a garantire umanità e a favorire il reinserimento nella società. Ed è commovente quando la ricostruzione porta a riparare dei luoghi, rendendoli anche più belli».
Quella della ricostruzione, ha evidenziato il commissario straordinario di Governo per il sisma 2015, Guido Castelli, «è un'opera complessa, che include anche una strategia di rilancio economico e sociale delle comunità dell'Appennino centrale. Dopo le prime “false partenze” finalmente siamo riusciti ad imprimere un cambio di passo. I cantieri privati fino ad oggi autorizzati sono stati oltre 20mila e, di questi, sono più della metà quelli già conclusi». Castelli ha quindi elogiato, prendendo in prestito un termine ecclesiale molto d’attualità, la «sinodalità tra gli attori in campo» ed ha anticipato la previsione di aprire 1.200 cantieri nel 2025 «e se in ogni cantiere facessimo lavorare 1 o 2 detenuti, il conto è presto fatto».
La firma al Protocollo è stata apposta anche dal presidente facente funzioni dell’Anci, Roberto Pella («è un passo decisivo per ricucire lo “strappo” tra le persone detenute e la società») e dal presidente nazionale dell’Ance, Federica Brancaccio («è anche un aiuto alle imprese a fronteggiare la carenza di manodopera») presenti anche il vice ministro, Francesco Paolo Sisto e i sottosegretari alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove e Andrea Ostellari.
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