mercoledì 16 marzo 2011
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«Nel mondo della comunicazione e dei minori si sta verificando uno tsunami. Noi pensiamo alla tivù e al cimena, ma ci sono Internet, Facebook, Twitter, meccanismi che noi adulti fatichiamo a comprendere. Senza contare i telefonini. Siamo solidali con chi sta a Forte Apache, ma di fatto controlla poco. Mentre noi valutiamo un cartone animato, i ragazzi messaggiano e vanno sui social network. Chi la tiene a bada questa invasione? Aspettiamo che lo tsunami si ritiri lasciando solo macerie? Ci difendiamo o reagiamo?». Giuseppe De Rita, presidente del Censis e attento osservatore della società, è allarmato per il bombardamento mediatico sulla testa dei minori. Il Comitato media e minori segnala un netto aumento delle infrazioni al codice, non solo nei film, ma anche nell’informazione-intrattenimento. Sorpreso?No, perché nell’infotainment c’è un degrado della lingua e quindi del pensiero. Non posso immaginare che i ragazzi tra vent’anni parleranno come certi conduttori per i quali la parolaccia o la sfuriata in diretta è funzionale. È un problema culturale, prima che sociale. È fondamentale la responsabilità del conduttore: si può pure trattare, per dire, dei vizi di Messalina, ma è il conduttore che ispira il clima della trasmissione. Purtroppo i grandi conduttori sono viziati dal protagonismo che li spinge a usare meccanismi di "pronta beva", da sorbire subito.Le leggi secondo lei bastano?Non c’è speranza di controllare questo tsunami in termini normativi. Il ragazzo non va protetto dal Comitato ma da qualcuno che gli dà la capacità di dire: la vita è altro. Della funzione del padre ci deve almeno restare la capacità di un "no" che dà senso alla libertà. Se non possiamo opporci a questo maremoto, possiamo assumere una funzione che va oltre, per separare questa fusione tra ragazzi e comunicazione. Questo "no" lo possono dire solo i genitori. Serve un’idea diversa, che rilanci il desiderio. Oggi i ragazzi non desiderano nulla, hanno le camere piene di giocattoli mai chiesti. E il bambino senza desiderio sarà sempre prigioniero: oggi di un’offerta di giochi e programmi, domani di donne, soldi e altro ancora. Il godimento non desiderato porta solo alla necessità di un’ulteriore emozione, che porta alla violenza, che porta poi al bisogno di un’altra emozione. Il desiderio porta il conflitto, senza non usciamo dalla dimensione puramente individualistica.Anche qui il problema è culturale?I nostri figli sono stati educati alla soggettività. Per decenni la cultura ha ricondotto tutto a se stessi: il corpo è mio, il figlio è mio, l’azienda è mia, ora anche la morte è mia. Ci illudiamo col telecomando di affermare soggettività, invece diventiamo dipendenti.
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