Una raffica di coltellate alla moglie e ai due bambini addormentati. Una violenza atroce e assurda per «rifarsi una vita» e inseguire l’illusione di un amore non corrisposto ma diventato autentica ossessione. Il giallo sul triplice delitto di Motta Visconti, nel Milanese, è stato risolto ieri mattina alle 4. Dopo un lungo interrogatorio Carlo Lissi, il 31enne marito e padre delle vittime, è crollato e ha confessato il massacro. Non è stata una rapina, come aveva cercato di far credere subito dopo l’esecuzione mettendo maldestramente a soqquadro la scena del delitto nella villetta rosa ad un piano, ora sotto sequestro. Cristina Omes 38 anni, Giulia di 5 anni e Gabriele di 20 mesi sono stati uccisi da colui che amavano e che, invece, da qualche tempo li considerava un fastidioso ostacolo per la sua nuova relazione con una collega conosciuta al lavoro.Davanti a Carlo Lissi, la porta sul baratro si spalanca alle 23 di sabato sera: i bimbi dormono, i due coniugi sono sul divano con la tv accesa. Tutto è tranquillo. Hanno anche un momento di intimità, poi l’uomo si dirige in cucina, impugna un coltello e aggredisce la moglie alle spalle: la donna si accorge tardi di quanto sta accadendo, riesce solo a gridare: «Carlo, perché mi fai questo?», e soccombe sotto i fendenti. Infine per un pugno che la fa stramazzare al suolo tramortita. Lui però non si ferma e uccide prima la figlia maggiore, che dorme nella sua cameretta, e poi l’angelo più piccolo che gli inquirenti hanno trovato al centro del lettone matrimoniale.Pochi minuti sono sufficienti per compiere il massacro e tentare di mettere in scena la rapina. Quindi Lissi scende in cantina, si fa una doccia e poi, dopo aver gettato il coltello in un tombino, raggiunge l’amico con il quale ha un appuntamento per andare a vedere la partita tra Italia e Inghilterra: «Non ci siamo accorti di nulla – ha raccontato agli inquirenti una persona presente alla serata –: non tremava, non era nervoso, ha esultato come tutti». Poco dopo le 2, conclusi i festeggiamenti con gli altri tifosi il rientro a casa, le urla che hanno attirato l’attenzione di alcuni vicini. «Li hanno uccisi», avrebbe detto entrando nella villetta. Quindi la telefonata ai carabinieri. Domenica mattina la notizia si diffonde in tutto il paese: si parla di una rapina finita tragicamente, tanto che il sindaco Primo De Giuli affiderà ai cronisti l’angoscia e l’allarme dei residenti per l’escalation di furti avvenuti negli ultimi tempi. Ma la versione fornita dal capofamiglia nel primo interrogatorio, terminato all’alba, non convince i carabinieri che dopo le verifiche della scientifica e altri accertamenti, convocano l’uomo in caserma domenica sera, per un nuovo confronto. Ieri all’alba la svolta. Lissi crolla sotto il peso delle sue contraddizioni e con la testa tra le mani ancora ferite dai tagli della collutazione con la moglie confessa il massacro, chiedendo di essere condannato «al massimo della pena», prima del trasferimento nel carcere di Pavia: «Non c’è stato un raptus o un elemento scatenante – ha spiegato Maurizio Stefanizzi, comandante provinciale dei carabinieri –: ha agito in modo lucido, nonostante il folle gesto». Ora si cercherà di capire se la strage sia stata premeditata: l’uomo ha detto che si sentiva oppresso dal matrimonio e aveva perso la testa per una collega che però aveva respinto le sue avances. A Motta Visconti, dove domani dovrebbero esserci i funeali, la gente è senza parole. Cristina Omes era molto conosciuta: volontaria presso il locale oratorio e per la Croce Rossa, proveniva da una famiglia molto vicina alla parrocchia, con la madre e le zie impegnate nelle attività sociali. Sei anni fa il matrimonio con Carlo, 'bravo ragazzo', impiegato in una multinazionale di Assago, era stato salutato come un dono del cielo.