Con una mano sparano, con l’altra rastrellano denaro con la stessa abilità di consumati croupier. L’Eldorado degli ’ndranghetisti è la Svizzera. Gli emissari del clan Galati, arrestati due giorni, fa non solo strabuzzavano gli occhi quando si trattava di subappalti nei cantieri per le strade che dovranno sostenere il traffico generato dall’Expo. Andavano a Lugano per investire quattrini sporchi e, tanto per ottimizzare i costi, approviggionarsi di armi da caricare nel viaggio di ritorno. Che il Canton Ticino diventasse, oltre al paradiso bancario dei boss calabresi, anche il bazar per la compravendita di revolver e munizioni nessuno l’immaginava. Ma certo è ancora più sorprendente scoprire che alcune spericolate operazioni avvenivano, grazie alle mediazioni di politici locali o faccendieri di buona reputazione, coinvolgendo la piazza finanziaria di Londra, alcuni 'uomini di fiducia' nel Liechtenstein e banchieri amici nella Svizzera Italiana. La lettura delle 802 pagine dell’ordinanza di custodia firmata dal gip Alfonsa Maria Ferrara, non smette di riservare sorprese. Dai negozi di 'compro oro' usati per ricettare preziosi rubati, all’apertura di società per la rivendita di sigarette elettroniche. Settori a bassissimo costo d’impresa, ma forieri di grandi introiti. I compro oro, in particolare, consentono di approfittare della crisi economica che porta sempre più persone a cedere monili di famiglia pur di arrivare a fine mese, ma allo stesso tempo offrono una copertura alle attività illecite che vanno dal riciclaggio di denaro sporco alla ricettazione di preziosi rubati o rapinati. Uno dei 13 indagati dell’ultima inchiesta firmata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini si era recato in Svizzera, per ordine del presunto boss Antonio Galati, 'procurando loro 2 pistole calibro 38, una pistola calibro 9 e 16 proiettili'. Negli stessi giorni il medico chirurgo M.A.C., specialista in chirurgia toracica presso una università della Svizzera Tedesca, aveva investito 30mila euro per partecipare all’acquisto del terreno agricolo, sito non lontano dall’area Expo, poi trasformato in lotti edificabili. Durante una delle conversazioni intercettate dal Raggrupamento operativo sociale dei Carabinieri, si possono ascoltare i capimafia parlare, nel loro tipico accento calabrese, come fossero manager della City, con uno di loro che rassicura la 'famiglia' in vista di un prestito da oltre un milione di euro: «Faremo dai Lloyd’s di Londra due assicurazioni per coprire il rischio in banca». Ottenute le necessarie garanzie la banca svizzera coinvolta nell’operazione rilascia il prestito che viene incassato attraverso una società fantasma costituita a Lugano con lo scopo di farne la cassaforte della 'holding' mafiosa. L’importante è non portarsi appresso documenti compromettenti: «Perché in frontiera non si porta mai una carta!», avvertono i boss che per non attirare si di sé l’attenzione delle forze dell’ordine evitano perfino di usare propri uomini nel trasporto di denaro. Il lavoro lo farà uno spallone pagato con l’1% del capitale trasportato. In caso di controlli la ’ndrangheta ne resta fuori. Meglio non mettere a rischio gli insospettabili collegamenti sull’asse Londra-Liechtenstein-Lugano.