Cosa succede esattamente quando i percorsi di accoglienza finiscono? Chi può farsi carico tecnicamente degli 'invisibili' cui stiamo dando voce in questi giorni nelle nostre pagine? A Sorisole, nella Bergamasca, la risposta è arrivata grazie a un Patronato, quello della San Vincenzo, che ospita tutti, indistintamente. Innanzitutto chi è fuori dalle strutture ufficiali. Come aiuto cuoco per la mensa, da qualche tempo è arrivato S.P., ragazzo del Gambia giunto in Italia a 19 anni. La sua presenza è utilissima, visto che nella comunità fondata da don Fausto Resmini si sfornano pasti quotidiani per 100 persone, tra senza fissa dimora e persone che non hanno nulla, italiani e stranieri.
«Tutto è accaduto grazie all’interessamento del sindaco. Un Patronato può accogliere anche chi è irregolare perché è ente caritatevole e non deve controllare i documenti a nessuno» spiega Fabrizio Totis, coordinatore del progetto di accoglienza diffusa della cooperativa Il Pugno Aperto, che ha seguito passo dopo passo l’odissea di S.P. L’ultima risposta, il ragazzo, l’attende dalla Cassazione, dove ha fatto ricorso a sue spese. Di fatto, la sua situazione è quella di un 'diniegato', cui hanno bocciato tutte le istanze, nonostante abbia completato la terza media e si sia distinto negli anni per una serie di servizi alle comunità che lo ospitano. Nella trafila c’è il soggiorno in un grande Cas, un Centro di accoglienza straordinaria, poi l’arrivo nel sistema della seconda accoglienza: immediato il «no» in primo grado alla richiesta di protezione internazionale, dove la sua storia viene giudicata «non meritevole», poi il rigetto a una seconda istanza da parte del Tribunale di Brescia.
Nel frattempo, il giovane gambiano si è dato da fare imparando la nostra lingua e utilizzando la buona conoscenza dell’inglese nelle realtà in cui è stato via via inserito. «Siamo stati costretti a dimetterlo, una volta arrivata la revoca dell’accoglienza da parte della Prefettura di Bergamo» continua Fabrizio Totis, che non esita a definirlo «persona integrata, finita davvero in un limbo. Quando gli chiediamo una mano, lui c’è sempre. Come volontario nelle feste, quando serve qualcuno all’ultimo momento per una gara sportiva. È una persona ben inserita, ma non per la nostra legge».
Una risorsa, si direbbe. Invece è sospeso a un filo sempre più sottile. In caso di responso negativo della Cassazione, S.P. sarebbe irregolare a tutti gli effetti. Resterebbe comunque nel nostro Paese, ben sapendo cosa rischia nei controlli? Se venisse fermato senza documenti, riceverebbe il foglio di via e avrebbe 5-6 giorni per lasciare il territorio. «Ma io ho molta speranza nei giudici italiani e voglio restare, mi ha detto. Non ditemi che un domani dovrò lasciare quello che grazie a voi ho costruito qui».