C’è un’altra pistola in una storia di gioco d’azzardo. Diversamente da Luigi Preiti, l’attentatore di Palazzo Chigi, per fortuna non ha sparato. Ma è servita per rapinare due farmacie. Ad impugnarla Franco (nome di fantasia), agente penitenziario con la malattia del gioco (di tutto...). Cento euro al giorno per almeno cinque anni: prima lo stipendio, poi le finanziarie, fino ad accumulare un debito di più di 200mila euro. Ma la malattia non gli dava tregua. Così, impugnando la pistola di ordinanza, e con un cappelletto calcato in testa, ha rapinato la prima farmacia: 480 euro il bottino, subito giocato. Ma non bastava e ci ha riprovato. «La seconda rapina l’ha fatta scendendo dal treno tornando dal lavoro – racconta la moglie –. Appena 120 euro. Ormai aveva perso ogni logica. Dopo la rapina stava addirittura tornando a casa a piedi. Lo hanno preso subito...». Prima gli arresti domiciliari poi, dopo la condanna a tre anni per rapina, il carcere militare. Ad aiutare la famiglia la Fondazione antiusura Exodus ’94, che opera nell’Arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia. «Per fortuna i titolari delle due farmacie non si sono costituiti in giudizio – ricorda ancora la moglie –. Abbiamo solo restituito i soldi rapinati. Hanno capito e l’hanno perdonato».Una doppia vita quella di Franco. «Falsificava la busta paga che portava a casa, facendo una fotocopia truccata, per non farmi vedere che le finanziarie gli toglievano 800 euro al mese. Ma come potevo capire? Lo dovevo pedinare? A casa era una perla di persona, poi fuori gli prendeva il morbo», si sfoga la signora. E punta il dito su «quei colleghi che sapevano e non mi hanno detto niente». Ma soprattutto «sullo Stato che continua ad aprire sale gioco. Prima non c’erano tutti quei "gratta e vinci" stesi come la biancheria. Sono le tentazioni, sono il demonio. Stanno rovinando le famiglie. Lo Stato, invece, dovrebbe impedire quello che è successo a mio marito». Davvero una malattia. «Alla fine si sentiva una grande depressione addosso ma continuava a giocare. Cercava la grossa vincita per salvare la situazione. Il suo grave stato psichico è dimostrato dal fatto che ha usato la pistola di ordinanza».Ora tocca rimboccarsi le maniche. «Mai avrei pensato che sarebbe toccato a me e non in questo modo. Mi sono trovata a difendere il nostro matrimonio, la nostra famiglia che abbiamo creato davanti al Signore». Una forte fede la sua. «La grazie divina è di averlo fatto scoprire». E anche il figlio, impegnato in parrocchia e a scuola, non è da meno. «Quando ha letto su internet la notizia dell’arresto, è scoppiato a piangere. "Papà non sarà più un poliziotto". Si sentiva tradito. Allora gli ho detto "papà deve essere aiutato, è malato". Ora ripete: "Tocca a noi, dobbiamo rimboccarci le maniche". E al telefono lo sostiene: "Papà tieni duro, dai che ce la facciamo"».E Franco come reagisce? «Mi ha detto "per me è finita, cosa ho combinato, mi sono bruciato. Potevamo avere tutto e invece...". Ma si sta impegnando: "Mi toglierò anche il vizio del fumo, ma uno alla volta..."».Un ultimo consiglio la signora lo dà alle altre mogli. «Cerchiamo di capire dai segni. Io glielo chiedevo ma lui rispondeva: "Ma quando mai!"». E poi torna sul suo impegno attuale. «Mio marito ci tiene molto alla famiglia. Se lo avessi cacciato si sarebbe ucciso. E io questo non lo voglio. Andiamo avanti. Il mio grande desiderio è che guarisca. La giustizia deve fare il suo corso ma soprattutto lui deve guarire. Io non so se ce l’ho fatta ancora. Sarò orgogliosa solo se riuscirò a tirarlo fuori».