C’è speranza anche per chi non è un genio delle tabelline. Lo dimostra la storia di Giacomo Cutrera, bresciano 29enne, che in terza media scopre di essere dislessico, discalculico, disortografico e disgrafico e oggi è ingegnere informatico ed esegue operazioni complicatissime per progettare macchinari per l’industria tessile.
«Sono riuscito a dare un nome alle mie difficoltà soltanto nel 2002 – racconta Giacomo, che è stato vice-presidente dell’Associazione italiana dislessia – un periodo in cui si conosceva ancora poco di queste problematiche legate all’apprendimento. Per me è cambiato tutto: mi senti- vo una vite dentro una scatola di chiodi». Questo fino al giorno in cui l’insegnante di matematica, anziché usare il martello è passata al cacciavite.
«Si è messa in gioco accettando di modificare le modalità di insegnamento, per venire incontro alle mie esigenze», riprende il giovane. Che da quel momento ha capito di 'poter funzionare'. Ed è stata la svolta. «Era bastato darmi più tempo, perché anch’io, come i miei compagni, riuscissi a terminare le verifiche senza errori», riprende il racconto di Giacomo. Che lancia un messaggio a chi oggi, come lui quindici anni fa, è alle prese con problemi scolastici apparentemente insormontabili. «Non arrendersi, ma cercare strade nuove per arrivare alla soluzione ». Quelle che ha trovato Filippo Barbera, vicentino, anch’egli 29enne, dal 2014 insegnante elementare di ruolo. Nel 1994, in prima elementare, comincia a manifestare le prime difficoltà di apprendimento e, anche per lui, la diagnosi è Dsa, con manifestazioni di tutti e quattro i disturbi.
«La maestra è intervenuta prontamente, mettendo in campo tutte le strategie possibili», ricorda Filippo, che per anni si è sottoposto a sedute di logopedia e neuropsichiatria. «Purtroppo – aggiunge – alle scuole medie gli insegnanti non hanno capito i miei problemi e ho passato un periodo molto faticoso». Quella fatica che oggi, da insegnante, laureato con lode in Scienze della Formazione primaria, vuole evitare ai propri allievi e alle loro famiglie. «Tutto sta nel cambiare la logica – avverte – : l’errore non è un pericolo da cui scappare ma diventa un’occasione per migliorarsi. Ed è questo che fa la differenza e trasforma persino una diagnosi di Dsa in opportunità.
Per il mio lavoro di insegnante è stato davvero così. Da piccolo sono stato costretto a imparare tantissime strategie che oggi offro ai miei alunni. Anche le famiglie sono rassicurate e confortate dalla mia vicenda personale. Porto in classe i miei quaderni di scuola e, insieme, guardiamo i miei errori e le soluzioni adottate per correggerli. E questo dà speranza a bambini e genitori: una via d’uscita c’è sempre».