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Sono arrivate anche sul tavolo di Annamaria Staiano, presidente della Società italiana di pediatria (Sip) dallo scorso giugno e direttore del Dipartimento di Scienze mediche traslazionali all’Università Federico II di Napoli, le minacce e le diffide dei No-vax.
«I bambini non si toccano» ripete il popolo così ben nutrito sui social e così sparuto nelle piazze, ma la verità è che fra i genitori di mezza Italia i dubbi sulle vaccinazioni anti-Covid ai più piccoli sono e restano tanti, in molti casi comprensibili. Mestiere difficile di questi tempi, quello del pediatra, messo all’angolo dal rischio Covid, tagliato fuori al pari dei medici di base dalla gestione emergenziale della campagna vaccinale, eppure così legato alla quotidianità delle famiglie: le telefonate al primo raffreddore, le richieste di tampone, le paure per la scuola. «Eppure eccoci qui, pronti a fare la nostra parte anche in questa fase» spiega Staiano, che una volta per tutte vorrebbe provare a fare chiarezza sulle ragioni del «sì incondizionato al vaccino», non solo per gli adolescenti che in queste ore affollano gli hub, ma anche per gli under 12, su cui le agenzie regolatorie dovrebbero arrivare a una via libera nel giro di uno o due mesi.
Professoressa, molti genitori esitano ancora a vaccinare i propri figli. Guardando ai più piccoli, su cui l’Ema dovrebbe decidere entro novembre, le perplessità sono ancora più consistenti. Una delle preoccupa- zioni più diffuse è circa il fatto che i vaccini contro il Covid siano impiegati da poco tempo. Questo li rende meno sicuri, in particolare per i bambini?
Assolutamente no. L’autorizzazione all’impiego dei vaccini arriva al termine di studi randomizzati controllati, che valutano l’efficacia e la sicurezza di un vaccino sulla base di dati oggettivi. Questi studi, al pari di quelli effettuati nella popolazione adulta, sono stati condotti e sono in corso nella popolazione pediatrica. Nel primo caso hanno portato all’approvazione del vaccino Pfizer nella fascia 12-19, nel caso degli under 12 sono in via di conclusione. Per quanto riguarda Pfizer, i trials sono iniziati il 25 marzo scorso e hanno coinvolto diversi sottogruppi su un campione di 4.500 bambini: dai 5 agli 11 anni, dai 2 ai 5, dai 6 mesi ai 2 anni. Lo studio di Moderna al momento riguarda addirittura 13.275 bambini.
Proprio in queste ore i consulenti del governo britannico hanno raccomandato a Johnson di non utilizzare il vaccino sui 12-15enni sani: esisterebbe «un beneficio marginale» rispetto al rischio che il Covid costituisce per loro. Possiamo quantificare una volta per tutte il rapporto rischio-beneficio? Cosa rischia un bambino se prende il Covid?
A fine giugno avevamo contato 600mila contagi in età pediatrica: di questi bambini, 3mila circa sono finiti in ospedale, alcune decine in terapia intensiva, 30 sono morti. Col diffondersi della variante Delta (che è tra 40 e 60 volte più contagiosa della Alfa) e la progressione della campagna vaccinale (da cui gli under 12 sono esclusi e i 12- 18 sono stati coinvolti solo di recente) la situazione è cambiata: nella settimana tra il 26 luglio e l’8 agosto, per fare un esempio, l’incidenza di casi pediatrici ha toccato i 50 ogni 100mila abitanti. Il report dell’Iss ci dice che nelle ultime due settimane il 29,3% dei casi totali di infezione da Covid riguarda soggetti con meno di 18 anni. Il rischio insomma – e anche in questo caso sono i dati il nostro faro – è aumentato. Non solo quello di contrarre il virus, ma proporzionalmente quello di contrarlo in forma severa o severissima: tra i bambini stiamo osservando, oltre alle complicanze respiratorie, anche la diffusione della cosiddetta Sindrome infiammatoria multisistemica (Mis-C), un processo autoimmunitario innescato dal virus e in grado di colpire anche altri organi come il cuore, il fegato, il cervello. Il vaccino, e solo il vaccino, mette al sicuro da tutto questo. Lo direi a ogni mamma che arrivasse nel mio studio: serve vaccinare i propri figli.
Un argomento molto diffuso tra i genitori più renitenti è quello relativo all’immunità di popolazione: perché devo sacrificare i miei figli piccoli – recita su per giù – solo in virtù del fatto che i più anziani non si vaccinano, o non si vaccinano in numero sufficiente?
È un argomento assurdo: solo gli under 12, nel nostro Paese, ammontano a circa 6 milioni. Senza coinvolgerli nella campagna vaccinale, non raggiungeremo mai l’immunità di popolazione.
Altro argomento: i vaccini renderanno mio figlia o mio figlio sterile.
Altra fake news. Non esistono studi né evidenze scientifiche di alcun tipo che documentino l’interazione tra vaccino, fertilità e concepimento.
Cosa pensa dell’obbligo di vaccino? Anche all’epoca della legge Lorenzin molti genitori scesero in campo contro la decisione...
Non mi esprimo a favore dell’obbligo, sono fermamente convinta che dobbiamo lavorare sulla consapevolezza delle persone che l’unica certezza in questo momento è il vaccino, mettendo in campo campagne informative e di sensibilizzazione martellanti, ad ogni livello. Eppure, proprio a proposito della legge Lorenzin del 2017, non posso negare che di fronte a un’emergenza seria come quella di un’epidemia (anche allora fummo chiamati a fronteggiare quella di morbillo) e a tassi di copertura vaccinali troppo bassi per fronteggiarla, l’obbligo diventa uno strumento necessario.
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Servì, in quel caso?
Certo. Partivamo da soglie di popolazione vaccinata scese drammaticamente all’88%. L’effetto di quella legge, che pure fu molto contestata, è stato ritornare attorno al 94% e superare quel momento difficile, mettendo in sicurezza tutti i bambini, a cominciare dai più fragili.
Donne incinte non vaccinate: sono numerosi i casi di bimbi nati prematuri a causa del contagio della mamma. Un rischio di cui si è parlato poco o niente, anche da parte delle autorità sanitarie, che sono state piuttosto tiepide nel raccomandare le vaccinazioni in gravidanza.
È così purtroppo. Nelle donne gravide, specialmente nell’ultimo trimestre, l’infezione da Covid può risultare particolarmente severa: sono più esposte cioè, per il fisiologico collasso polmonare dovuto allo sviluppo del feto, a complicazioni respiratorie gravi. Di qui l’aumento dei parti prematuri, che stiamo osservando in maniera più importante nelle ultime settimane: oggi naturalmente, grazie ai passi da gigante compiuti nel campo della neonatologia, questi bimbi vivono, ma sappiamo che i prematuri hanno più rischi dei loro coetanei di contrarre malattie nel corso dei primi anni di vita. I dati sui vaccini nelle donne in attesa sono confortanti: tutti gli studi (il più recente è stato pubblicato negli Usa proprio nei giorni scorsi dalla più importante rivista pediatrica del Paese) documentano la sicurezza e l’efficacia del vaccino in gravidanza e tutte le società ginecologiche e pediatrice mondiali, tra cui quelle italiane, la raccomandano. Mi ripeto: serve vaccinarsi, per sé e in questo caso per il bambino che si porta in grembo.