Nando Dalla Chiesa - .
L'autopsia sul corpo del boss Matteo Messina Denaro, morto lunedì mattina alle 2, è fissata per oggi. E la famiglia del capomafia, morto la scorsa notte nell'ospedale de L'Aquila, ha deciso di non nominare un proprio consulente. L'esame, dunque, si svolgerà alla presenza dell'esperto nominato dalla Procura abruzzese, un medico di Chieti, che, in accordo con i pm di Palermo, sta gestendo le fasi successive al decesso del boss. Successivamente la salma sarà restituita ai parenti del padrino di Castelvetrano e verrà riportata nel paese d'origine della famiglia per la sepoltura. Non sono ancora chiari i particolari delle esequie. Di certo non ci sarà un funerale religioso. La Chiesa li vieta ai mafiosi e il boss aveva espressamente lasciato scritto di non volerlo. Di certo Messina Denaro non sarà cremato come accadde, invece, per il capomafia Bernardo Provenzano. Molto probabilmente il feretro verrà portato nel cimitero di Castelvetrano.
La morte di Matteo Messina Denaro chiude una stagione, ma non ne apre per forza un’altra. Non subito, almeno. «Una volta si diceva: catturato un boss, ne arriverà subito un altro. In realtà, non è così semplice: il capo mafioso è depositario di relazioni e di storia, possiede innato carisma. Ora dovremo studiare attentamente i movimenti sul territorio, cercare di individuare i nuovi punti di comando che Cosa nostra tenterà di costruire » spiega Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto, ucciso dalla mafia a Palermo nel 1982. « Non dimentichiamo cos’era la Cupola allora: potere totalitario, a cui le istituzioni si genuflettevano. Non si poteva neppure nominare quella parola, “mafia”. Per questo, ciò che è stato fatto contro Messina Denaro non va dato per scontato. È stata una cosa nuova, anche se lui non è mai stato il “capo dei capi”».
La sua scomparsa non segna un “prima” e un “dopo” nella battaglia contro le organizzazioni criminali?
Intendiamoci: Messina Denaro era il leader indiscusso della mafia di Trapani e del Trapanese, come si è visto dalle ricostruzioni di questi ultimi otto mesi. Comandava un territorio che aveva una grande tradizione mafiosa ed era impermeabile a tutto e a tutti. Ha potuto ripararsi lì per decenni, grazie a un asse di ferro con i Corleonesi di Totò Riina e alle relazioni di famiglia con gli alti livelli della politica e del sistema bancario. Però non è stato il “supercapo” di cui tutti parlano.
Cosa è cambiato con il suo arresto? Teme che sia già in atto una riorganizzazione delle famiglie mafiose?
La Cupola forse tornerà, ma non ne siamo certi. Per ben due volte, hanno già cercato di ricostruire i vertici e il progetto è stato sventato. Una volta, l’operazione di polizia ha individuato un incontro tra gli aspiranti padrini in mare, a bordo di alcuni natanti: si parlava di affari, di vere e proprie spartizioni di business. In un altro caso, la strategia delle cosche era di ripartire dal controllo dei quartieri di Palermo. Tentativi documentati, ripeto, che dimostrano però come i nuovi mafiosi vogliano darsi una struttura, seguendo uno schema quasi cooperativo.
La borghesia mafiosa e la massoneria c’entrano, in questo ripensamento strutturale?
Su Trapani, in particolare, il rapporto tra Cosa nostra e la massoneria è consolidato, fin dai tempi in cui alcuni noti esponenti locali dei clan interloquivano con i sottosegretari del ministero della Giustizia. Penso che in futuro i clan cercheranno di avere dei rapporti, forse più protetti e meno esibiti, con il mondo delle lobby e delle professioni, andando ad alimentare quella “borghesia mafiosa” che la Procura di Palermo ha tratteggiato nei giorni della cattura dello stesso Messina Denaro. Bisogna sempre ricordarsi che le organizzazioni criminali hanno protezioni nel sistema esterno a loro. La vera forza della mafia è fuori dalla mafia, nell’osmosi con la società che sta formalmente fuori.
Quali sono i legami tra Cosa nostra e la ‘ndrangheta?
Che la ‘ndrangheta abbia oggi lo stesso potere che Cosa nostra aveva trenta, quarant’anni fa è fuor di dubbio. La ‘ndrangheta ha preso il posto della mafia, ma rimane difficile leggere i rapporti tra le due organizzazioni, le sovrapposizioni e i possibili interessi comuni. Un po’ come accade a livello geopolitico tra Stati Uniti e Cina.
Cosa pensa della reazione della società civile trapanese in questi mesi?
Non era scontato reagire, anzi. Si è fatta sentire una minoranza qualificata, fatta soprattutto di giovani. È giusto che si continui adesso a lavorare sul territorio, presidiandolo. È un lavoro che spetta innanzitutto alle forze dell’ordine. Occorre praticare la più grande massima di Falcone: abituarsi a pensare come loro. Saranno necessari servitori dello Stato che non si limitino a dire: follow the money, segui il denaro. La diffìcoltà sarà quella di studiarli al punto tale da sapere cosa penseranno.