Negli Stati Uniti la loro storia di “mix up” – cioè di scambio di embrioni – ha campeggiato per settimane sui giornali, come con ogni probabilità farà quella del Pertini. Carolyn e Sean Savage ci si sono abituati quasi subito: troppo grande, il torto che avevano subito. Lei ricorda come fosse oggi quel giorno del 2009, quando il marito salì le scale ed entrò in camera col volto bianco come un fazzoletto: «Brutte notizie. Ha chiamato la clinica, c’è stato uno sbaglio. Il bambino non è nostro». Dalla parte di là della stanza c’è Carolyn, con la pancia appena pronunciata e le riviste sulla maternità. «Stai scherzando, è uno scherzo». Non lo era. Come si reagisce, all’inconcepibile? Per raccontarlo, ad anni di distanza, Carolyn e Sean hanno deciso di scrivere un libro, che in America ha riscosso molto successo e che si intitola proprio così,
Inconceivable, inconcepibile. Inconcepibile persino per due come Carolyn e Sean, che in tema di fecondazione assistita erano – per così dire – preparati: dopo due figli avuti naturalmente, Drew e Ryan, la coppia s’era dovuta confrontare con un problema di sterilità e per la terza figlia, Mary Kate, che desideravano a tutti i costi, erano già ricorsi alla provetta (fornendo il loro materiale biologico). Da quella procedura erano anche “avanzati” degli embrioni, che i due avevano deciso di congelare ma di far vivere, in futuro. E così ecco la scelta di una quarta gravidanza, quella arrivata nel 2009. «I medici mi consigliarono subito di abortire », racconta Carolyne, che proviene da una famiglia molto religiosa. Soltanto l’idea le dà i brividi. Eppure portare dentro di sé «il figlio sbagliato», come lo chiama lei, è altrettanto alienante. Senza contare che la legge, in America, di maternità surrogate e diatribe tra genitori genetici (che forniscono i gameti) e genitori biologici (che portano a termine la gravidanza) già nel 2009 s’è occupata diverse volte, riconoscendo quasi sempre come siano i primi a dover essere riconosciuti legalmente come genitori. Insomma, quel figlio non lo potrebbe tenere, oppure dovrebbe prepararsi a una dura battaglia legale. Ecco allora la scelta incredibile: «Quella che portavo in grembo era una vita umana e l’avremmo protetta – racconta Carolyn –. Non importa se quel bimbo era nella pancia sbagliata. Non era colpa nostra né dei suoi genitori. Io mi misi nei panni della mamma di quel bambino: cosa avrei fatto, io, se mio figlio fosse stato nella pancia di un’altra donna? Non avrei pregato con tutta me stessa che quella donna lasciasse vivere mio figlio?». Carolyn e Sean decidono di tenere il bambino fino al giorno del parto e poi di consegnarlo ai suoi genitori genetici. Di dirgli «hello» e «goodbye», allo stesso tempo, in una stanza d’ospedale. Lo spazio d’un saluto. Tra il dire e il fare ci sono di mezzo i mesi della gravidanza, l’incontro con i legali dell’altra coppia, Paul e Shannon Morell, la definizione dei rapporti. A Carolyn e Sean interessa solo che Logan (questo il nome scelto per il piccolo) stia bene. E gli altri genitori sembrano brave persone: «Ma se non avessi avuto i miei tre figli a sostenermi, non ce l’avrei fatta, lo ammetto », dice Carolyn. Sa bene quanto possa essere difficile, per chi genitore non è, rinunciare a un figlio. E proprio per questo, per evitare che la storia si ripeta e scompigli la vita di altre coppie, dal 2009 a oggi i Savage passano la gran parte del loro tempo a sensibilizzare chi sceglie la fecondazione sui suoi possibili rischi, sulla necessità che i centri siano all’altezza degli standard internazionali, sulle responsabilità enormi che ciascuno deve prendersi in questa “catena” di eventi delicatissimi con cui l’uomo cerca di gestire la nascita di vite. Qual è stata la parte più difficile di questa esperienza? «Tutto, anche questo momento presente – spiega Carolyn –. Combatto ogni giorno col fatto di essere niente, perché il mio ruolo nella vita di questo bambino è niente, io non ho significato. Ogni giorno mi chiedo: dov’è? Come sta? Sarà malato? Avrà avuto una buona mattinata? ». Carolyn e Sean hanno visto Logan un paio di volte. Lei gli ha scritto una lettera, che forse sua mamma un giorno deciderà di consegnargli: «Vorrei solo che sapesse quanto l’abbiamo amato, quanto ci dà forza sapere che lui esiste. E poi che saremo sempre qui, che sarà sempre il nostro bambino anche se non è nostro figlio». Per lei – che dopo Logan ha avuto altre due figlie, gemelle, con l’utero di un’altra donna – la differenza sembra chiara. Quesiti della provetta, ora da spiegare anche in Italia.