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Una nuova vita che ricomincia dopo la guerra e la fuga in un campo profughi senza prospettive. Giovedì 23 febbraio 2023 sarà una data che ricorderanno per sempre i 98 rifugiati afghani che domattina atterreranno a Fiumicino, al Terminal 5 degli arrivi speciali dell'aeroporto Leonardo Da Vinci. I richiedenti asilo arrivano nell’ambito del protocollo dei corridoi umanitari sottoscritto dalla Cei con i ministeri dell'Interno e degli Esteri e gestito da Caritas italiana, in la collaborazione di altre realtà. Del gruppo, 45 saranno accolti dalle diocesi di Bolzano, Fiesole (FI), Manfredonia (FG), Milano, Roma, Verona, Ugento (LE). Il progetto dal 2017 ha portato in Italia in sicurezza 1.146 persone (di cui 400 minori) coinvolgendo 62 Diocesi per l'integrazione. I paesi di provenienza sono stati Eritrea, Somalia, Siria, Iraq, Repubblica Centrafricana, Yemen, Sud Sudan, Sudan, Afghanistan. Tutti teatri caldi di quella che Papa Francesco da tempo chiama «Guerra mondiale a pezzi».
A presentare la nuova puntata del protocollo nella sede di Radio Vaticana il direttore di Caritas Italiana don Marco Pagniello e Manuela De Marco dell'Ufficio politiche migratorie della Caritas. La collaborazione tra Caritas e ministeri prosegue in qualche modo l'evacuazione di 5 mila afghani in pericolo che il governo italiano organizzò ad agosto 2021 dopo il ritorno dei talebani. Questo protocollo prevede alla sua conclusione l'accoglienza di 1.200 afgani. Lo strumento dei Corridoi umanitari ha garantito la fuoriuscita da contesti di guerra e di gravi violazioni dei diritti a persone fragili che non avrebbero mai potuto raggiungere il territorio europeo, se non rischiando la vita con i trafficanti di esseri umani.
Nel corso degli ultimi anni l’impegno della Chiesa Italiana sui temi dell’accoglienza e dell’integrazione dei rifugiati è andato crescendo in concomitanza con l’aumento del numero di crisi internazionali: l’emergenza nord africana, la crisi libica e siriana, la presa del potere dei talebani in Afghanistan, la guerra in Ucraina in poco più di un decennio hanno prodotto milioni di sfollati e profughi. Molti nei paesi limitrofi, dove spesso vivono in condizioni drammatiche.
«Non siamo chiamati noi da soli a risolvere tutte queste situazioni - spiega don Marco Pagniello - ma ci è richiesto di realizzare delle "opere-segno", simboli che dimostrino che è possibile portare persone in Italia evitando tante sofferenze e ingiustizie». Al di là della tipologia dell'intervento assicurato «come Corridoi umanitari, Corridoi universitari, evacuazioni umanitarie, accoglienza in emergenza, l’impegno di Caritas - dice il Direttore - è stato quello di implementare un sistema di accoglienza ed integrazione il cui fulcro fossero le comunità. Sin dal primo momento, infatti, famiglie, parrocchie e istituti religiosi hanno garantito l’assistenza necessaria a chi è giunto nel nostro Paese”. Ciò è stato possibile grazie al progetto "Apri", ispirao ai quattro verbi del Papa “Accogliere, Proteggere, Promuovere, Integrare”, che ha consentito di affrontare in maniera efficace queste sfide, sensibilizzando le comunità coinvolte sul reale valore dell’accoglienza».
«Coinvolgere il territorio e le comunità – prosegue il direttore di Caritas Italiana – significa fornire ai cittadini gli strumenti per capire e accompagnare un fenomeno complesso come quello delle migrazioni, senza subirlo, contribuendo così a cambiarne la percezione e dunque la narrazione: il migrante non è più l’estraneo che entra in casa nostra, ma una persona fragile con un nome e una storia che meritano considerazione e rispetto». Il programma di Corridoi umanitari realizzati dalla Caritas per conto della Conferenza Episcopale Italiana, dalla Fcei (Federazione delle chiese evangeliche in Italia), e dalla Comunità di S. Egidio, si articola in quattro programmi: due si sono conclusi, uno è quello in corso, un quarto è ancora da avviare.
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