Sarà aperta al privato, decentrata, immersa nel mitico «sistema Paese» per essere più solidale e creare relazioni globali. Ma all’identikit della nuova cooperazione italiana manca il tassello fondamentale: chi la guiderà? Per la nuova cooperazione allo sviluppo i prossimi saranno mesi decisivi. Andrà deciso se avrà un’agenzia <+corsivo>ad hoc<+tondo> - mentre oggi è gestita da un’apposita direzione generale della Farnesina - e se ci sarà un fondo unico delle risorse. Il forum internazionale di Milano, conclusosi ieri, è riuscito a riportarla al centro della scena e ha fatto passare il concetto, autorevolmente sottoscritto da Napolitano e Monti, che è priorità della politica estera. «Abbiamo rotto il silenzio – ha spiegato Andrea Riccardi, primo ministro per la cooperazione della storia repubblicana e organizzatore dell’evento milanese – e dimostrato che l’Italia non è insensibile alla cooperazione, comportamento che gli italiani hanno nel proprio dna. Ma dobbiamo comunicare meglio, non basta essere dalla parte del giusto. Come diceva don Milani, è una grande tristezza essere convinti in due o tre delle proprie ragioni, È anche una questione culturale, aiuta il popolo a partecipare alla globalizzazione e a non aver paura. Portiamo la cooperazione nelle scuole». Però ora la palla passa al Parlamento, che deve approvare la riforma della legge 49 del 1987, sulla quale i partiti hanno una visione e buona parte di ong, sindacati ed enti locali - vecchi e nuovi attori della cooperazione - ne hanno una diversa. La partita è tutta politica: non sono in ballo solo i fondi, ma l’autonomia della cooperazione e la sua efficacia. I modelli sono diversi, Francia e Germania hanno scelto questa strada , ad esempio. La riforma approdata alla Commissione Esteri del Senato non prevede invece un dicastero autonomo né un fondo unico che raggruppi i tre miliardi spesi dall’Italia con gli organismi multilaterali (la Banca Mondiale) e l’Ue. Così sparirebbe il ministro della Cooperazione internazionale, novità introdotta da Monti. Riccardi ha chiuso ieri chiedendo una riforma «meditata e lungimirante». «Non perché abbia ambizioni personali – ha precisato ieri – deciderà il Parlamento. Ma sono convinto che ci debba essere un ministro dedicato ai temi della cooperazione. È una scelta politica perché al settore serve coordinamento, non possiamo andare nel mondo in ordine sparso». Poi la questione delle risorse (scarse). Per Riccardi, che ha aperto alla collaborazione con imprese private grandi e piccole, va istituito un organismo rigoroso di valutazione delle varie intraprese «autonomo e obiettivo». Ma ieri il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, ha confermato che il trend è stato invertito, come si vedrà tra pochi giorni nella legge di stabilità, e che le previsioni sono «di un aumento delle risorse del 10% rispetto al 2010, con un graduale riallineamento agli impegni presi dall’Italia».Soddisfatte del forum, le organizzazioni rappresentate dai cartelli Aoi, Cini e Link2007 hanno subito incalzato esecutivo, parlamentari e forze politiche sui fondi.«È possibile e necessario – hanno scritto in una nota – dare attuazione alle disposizioni incluse nel Documento di economia e finanza, nel quale il governo si impegna a riallineare le risorse per l’aiuto allo sviluppo agli standard internazionali. E se, come è stato ribadito in occasione del forum, la cooperazione è prioritaria, il rilancio degli aiuti non va rinviato». Poi il sostegno a Riccardi: «È possibile e necessario riformare il sistema per dare sostanza alle affermazioni che richiedono che la cooperazione internazionale sia rappresentata in maniera forte e diretta nelle attività e decisioni di governo».Richieste che Paolo Dieci, portavoce unitario delle ong italiane, ha esplicitato così: «Bisogna metter mano all’architettura istituzionale con la nuova legge. Deve esserci la figura del ministro della cooperazione o un vice ministro con forti deleghe». Anche i sindacati hanno chiesto di cambiare la legge 49 del 1987. E auspicano, come le ong, un fondo unico. In particolare Cgil, Cisl e Uil vogliono essere considerati attori del nuovo corso della cooperazione. «Per noi – ha ricordato Raffaele Bonanni, segretario della Cisl – la nuova cooperazione deve occuparsi di promozione dei diritti dei lavoratori, sostegno alla green economy, equa redistribuzione delle risorse, tassazione di transazioni finanziarie. L’Italia ha sovente scelto di sostenere l’industria delle armi e una presenza militare nelle aree di conflitto, anziché sostenere la cooperazione».In tempi di tagli e <+corsivo>spending review<+tondo>, la cooperazione si è decentrata. Oggi anche gli enti locali scelgono dove allocare fondi per lo sviluppo e chiedono un riconoscimento. Lorenzo Dellai, presidente della provincia autonoma di Trento - 500 missionari e 270 associazioni – ha ricordato di aver varato la legge che vincola all’investimento in cooperazione parte delle entrate. E ha chiesto che la nuova legge nazionale «faccia crescere l’idea di cooperazione tra comunità» lasciando il Ministero di Riccardi. Anche le regioni domandano valorizzazione. «Chiediamo più spazio – ha confermato il presidente sardo Ugo Cappellacci – per la cooperazione decentrata, valorizzando il ruolo delle comunità locali». D’accordo i comuni. Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia e presidente dell’Anci ha proposto di orientare i gemellaggi futuri sulla base della provenienza delle comunità di immigrati per rafforzare integrazione e sicurezza. Riccardi ha chiuso proponendo un secondo forum in una città del sud nel 2014, quando l’Italia avrà la guida del semestre europeo. E, si spera, una nuova legge sulla cooperazione.