Devono essere i giudici a valutare caso per caso se davvero premier e ministri possono avvalersi del "legittimo impedimento". E non può valere quel meccanismo automatico per cui palazzo Chigi presenta una "autocertificazione" con gli impegni istituzionali «continuativi» e la corte rimanda l’udienza di sei mesi. L’attesa sentenza della Corte costituzionale non boccia in modo integrale la legge, ma ne stronca, dichiarandoli «illegittimi» e in contrasto con gli articoli 3 e 138 della Costituzione, i due punti più discussi. Una soluzione annunciata, frutto di mediazioni, che ha evitato la spaccatura della Consulta: nelle votazioni (secretate) relative ai singoli commi si sono raggiunte maggioranze più ampie del previsto (si sussurra di un 12 a 3 sul documento finale), mentre se si fosse votata l’incostituzionalità tout-court dell’intero provvedimento lo scontro si sarebbe radicalizzato (8 giudici erano dati dalle previsioni contro la legge, 7 a favore). D’altra parte, da quando è parso evidente che la bilancia della Consulta pendeva verso la bocciatura, anche i legali del premier avrebbero aperto spiragli ad una resa onorevole che non cancellasse l’intero "scudo".I "custodi della Carta" si sono pronunciati nel cuore del pomeriggio, mentre fuori il popolo viola e la stampa internazionale assediavano il palazzo. Il comunicato finale è, come nel costume della Corte, stringato e senza commenti. Le motivazioni saranno note a fine mese, le scriverà il relatore Sabino Cassese e le sottoporrà ai colleghi - forse nella camera di consiglio del 24 - per una nuova votazione. Solo dopo la pubblicazione in Gazzetta la sentenza sarà operativa. Proprio Cassese, ieri mattina, ha aperto il confronto proponendo - secondo indiscrezioni - la bocciatura del comma 4 (quello sul rinvio automatico di 6 mesi previa autocertificazione dell’esecutivo) e il salvataggio del primo (che elenca le attività per cui premier e ministri possono chiedere di non partecipare alle udienze), purché fosse salvo il diritto del giudice a non essere mero osservatore. Ad ora di pranzo, però, l’ipotesi più accreditata era la cancellazione totale della norma con un solo voto di scarto. Alla ripresa pomeridiana, lo scatto di reni: si raggiunge un’ampia convergenza anche sulla illegittimità del terzo comma, che come formulato in Aula non permette al giudice - ancora lo stesso nodo - di valutare «in concreto» gli impedimenti addotti. Mentre vengono considerate legittime le altre disposizioni. La temperatura nella Consulta scende, e alla fine alla mediazione si sarebbero opposti solo i giudici dati più vicini al Pdl.