Braccia aperte e lacrime che solo una madre e una figlia possono capire. Simona non vede mamma Luciana da tre giorni, da quando la neve aveva isolato i suoi genitori in località Santa Barbara. La sua voce rotta dal pianto è arrivata di prima mattina nel quartier generale dei vigili del fuoco di Avezzano, la base d’appoggio del nono reggimento alpini dell’Aquila. «I miei genitori sono bloccati da giovedì in casa, ci sono due metri di neve e non hanno cibo e nemmeno le medicine di papà, che è cardiopatico». C’è il sole, ma per strada si cammina solo attraversando coi mezzi militari veri e propri tunnel di ghiaccio. La luce è tornata più o meno dovunque, ma non in quella casa isolata nel comune di Capistrello. «Una squadra si prepari per partire», è l’ordine del capo-macchina. L’unico mezzo che può arrivarci però è il BV 206, il cingolato che riesce a “galleggiare” sulla neve così come fa in acqua. L’Esercito ne ha 4 in piena attività nella Marsica da venerdì sera, per liberare la popolazione intrappolata dalla neve, portare medicine e ossigeno, generi alimentari, assistere e accompagnare in ospedale chi malori o necessità sanitarie. «Sono gli stessi mezzi blindati utilizzati in Afghanistan, in fondo stiamo andando a aiutare persone come laggiù». Il tenente Marco Deon, come tutti, è qui da due giorni ma «la stanchezza non si sente in queste situazioni, perché le persone che aiutiamo ci accolgono con gli occhi gonfi di lacrime per un semplice tozzo di pane che portiamo». Ieri a Rendinara, nel comune di Morino (L’Aquila) il BV è riuscito a far salire un medico per un anziano colpito da ictus. «Prenda queste due fette di dolce, sono le uniche che ho, ma non so come ringraziarla per averci liberato». Il tenente non ha parole quando racconta ciò che ha provato quando i cento abitanti del piccolo centro della Marsica sono sbucati da dietro due metri di neve caduti in meno di 36 ore. I racconti sono tanti mentre si “balla” in undici dentro il blindato che più volte si piega su un lato, seguendo le pieghe del terreno. Ha gli occhi sgranati come su una giostra il piccolo Marco, guarda con ammirazione gli alpini mentre si preparano per portare viveri ai coniugi Marco Aurelio. Insieme a mamma Simona cerca di trovare la strada per arrivare a Santa Barbara, ma ci si orienta solo con le baracche dei pastori rimaste in piedi e con le chiome degli alberi. Ogni segnale stradale è praticamente sepolto e, lasciato il centro abitato, ogni angolo è uguale all’altro. Non ci si aspettava una nevicata così, un inferno del genere qui non si vedeva dal 1956, «spero di convincerli a venir via di casa», dice Simona mentre tiene ferme le due scatole piene zeppe di scatolame che sobbalzano come sotto il terremoto.
Andare avanti è difficile, la neve è oltre altezza uomo e a fatica si distinguono i cancelli delle case. «Dio vi benedica». Luciana piange quando vede aprirsi il cingolato davanti l’uscio di casa. Ci si fa largo nella neve perché anche sull’ingresso i fiocchi raggiungono il bacino. Continuano a scorrere le lacrime sul suo viso mentre un militare le porge le scorte di cibo, aprendo un varco con il corpo. «Eravamo disperati, non vedevamo nessuno intorno da giorni, non avevamo più molto in casa». La signora però lascia subito le scatole per uscire, in pantofole, ad abbracciare la figlia. Solo a sera si ha tempo di parlare di numeri nella sala operativa della caserma dell’Aquila. «Sabato abbiamo anche soccorso una donna con le doglie a Tagliacozzo riuscendo ad arrivare in ospedale appena in tempo per il parto». Il colonnello Riccardo Cristoni indica le zone di maggior criticità sulla cartina che tappezza quasi un intera parete della sala operativa, il lavoro di sgombero dell’autostrada A24 bloccata, le 250 persone liberate dalle loro macchine e le quasi cinquecento intrappolate in casa. Si programma la prossima uscita alzando il naso al cielo. Sperando che il tempo domani sia clemente.