Fino a lunedì 1 dicembre non sapremo l’esito quantitativo della Colletta alimentare che si è svolta sabato in oltre 11mila supermercati italiani per dare una mano a chi fa fatica a sbarcare il lunario. Ma un risultato l’iniziativa l’ha già raggiunto:
dare testimonianza che esiste ancora la gratuità. Parola semiclandestina, in una società dove sembra prevalere altro: la protesta, la rabbia, la denuncia, la ricerca del colpevole sempre e comunque. È la gratuità che in queste ore muove milioni di persone che donano una scatoletta di tonno, un pacco di pasta, una bottiglia d’olio, una confezione di omogeneizzati per “fare la spesa per chi non ce la fa”. È la gratuità che spinge 135mila volontari a dare un po’ del loro sabato per raccogliere gli alimenti donati all’uscita dei supermercati. È la gratuità che sostiene l’impegno generoso di quanti durante l’anno portano il “pacco” della spesa alle famiglie bisognose, o di chi presta la sua opera nelle mense per i poveri.
L’abbiamo dentro tutti nel cuore, la gratuità. Perché l’uomo è fatto così. Non è fatto per guardarsi allo specchio, è fatto per incontrare l’altro. È, come ha detto pochi giorni fa Papa Francesco all’Europarlamento di Strasburgo,, “non un assoluto, ma un essere relazionale”.
Girando tra i diversi punti di raccolta, sabato si potevano incontrare
i volti dell’Italia popolare. L’insegnante con i suoi studenti, la casalinga e il pensionato, l’alpino che sfoggia orgogliosamente il cappello con la penna nera, l’immigrato che vuole aiutare chi l’ha aiutato, il disoccupato che non riesce a stare con le mani in mano. “È meglio la Colletta o la rivoluzione?”, si domandava un vecchio militante comunista guardando i volontari del Banco Alimentare davanti a un supermercato alla periferia di Milano. Dopo un dialogo con uno di loro, si è unito al gruppo e anche lui ha cominciato a distribuire volantini e sacchetti. Forse aveva incontrato la vera rivoluzione, quella della gratuità.