Mario, 2 anni e mezzo, con i suoi grandi occhi di bambola e le ciglia lunghe, sintomo della Chops - Famiglia Zampella
«Il vostro bambino ha occhioni da bambola e ciglia lunghissime. Qualcosa non va». È l’oculista il primo a gettare una doccia ghiacciata sui due giovani genitori di Mario, il loro bimbo di soli 5 mesi. Un segno di bellezza ammirato da tutti diventava di colpo una condanna, e per Manuela e Giovanni la spensieratezza finiva quel giorno.
Ma partiamo dall’inizio. «Io sono di Reggio Calabria, mio marito di Caserta, ci siamo conosciuti nel 2012 a Padova, lui era appena stato trasferito come poliziotto e io studiavo astronomia all’università. Ci siamo adocchiati in un bar di Prato della Valle, la piazza più bella del mondo», ride Manuela Mallamaci, 34 anni, accanto al marito Giovanni Zampella, 38, nella loro casa di Cadoneghe, provincia di Padova. Il loro sguardo non ha perso il luccichio, mentre raccontano dell’innamoramento rubandosi la parola: «Io l’avevo subito notata e ho approfittato di una sua amica, che si era versata un cocktail addosso, per offrire galantemente il mio fazzoletto e agganciare Manuela. Ma quella sera non le ho chiesto il numero, non volevo che pensasse che ci stavo provando, questa volta era una cosa seria». «Ci rimasi male, io non davo facilmente il mio numero, ma proprio lui non me lo chiedeva? Con la mia amica tornai per due settimane in quel bar ma non lo incrociai più…». Giovanni, da buon poliziotto, l’aveva presto rintracciata sui social, «ma i miei messaggi finivano in spam e lei non li vedeva, finché un giorno la sua amica per caso aveva cliccato sul computer di Manuela ed erano saltati fuori. Una bella fortuna!». «Direi invece la Provvidenza», gli sorride la moglie. L’alleanza è palpabile, l’amore forte come il 13 giugno del 2016, quando si sono sposati.
Mario nasce il 19 marzo del 2021, Festa del Papà. Una gravidanza modello, mai una nausea, esami tutti in regola, solo al parto un inciampo, quando i battiti cardiaci scendono all’improvviso ed è necessario un cesareo d’urgenza. «Ero sveglia e l’ho visto nascere, sembrava tutto a posto – racconta Manuela –, ma l’ho incontrato solo il giorno dopo in culletta termica perché desaturava un po’ ed era uno scricciolo di 2,7 chili… Pian piano emergevano tanti piccoli problemi, ma che messi insieme potevano già far presagire qualcosa di strano, invece a nessun medico venne un dubbio. Oltre a tutto si era in pieno Covid e nemmeno mia mamma poteva stare con me, così io, madre alla prima esperienza, non avevo confronti». D’altra parte durante la gravidanza il test del Dna fetale, che indaga le 15 sindromi genetiche più diffuse, non aveva rilevato anomalie.
La mamma Manuela e il papà Giovanni sulla spiaggia con Mario la scorsa estate - Famiglia Zampella
Il primo campanello d’allarme suona ai 5 mesi di Mario, quando la famigliola va in Calabria per le prime vacanze in tre: «Eravamo felici – continuano Giovanni e Manuela –, invece è diventato un incubo. Vedendo i bambini degli amici ci accorgemmo che Mario era diverso, non teneva su bene la testa, lo sguardo era meno attento». Il pediatra di Reggio Calabria capì per primo che non sentiva e non vedeva quasi nulla e li mandò dall’oculista, quello delle bellissime ciglia lunghe diventate un temibile sintomo. Iniziava così un’odissea tra ospedali di tutta Italia, «non c’è niente di più doloroso che veder soffrire il tuo bambino e non sapere cosa fare». L’astronomia e le stelle con la medicina non hanno nulla a che fare, ma il metodo sperimentale aveva insegnato a Manuela a non perdersi d’animo, non se lo poteva permettere…
Con la mamma Manuela Mallamaci, astrofisica - Famiglia Zampella (foto Davide Nucera)
La diagnosi è arrivata solo il 26 gennaio del 2023, dopo un anno e mezzo di buio, grazie all’intuizione di una genetista di Bologna. «Da mesi cercavamo disperatamente in Internet le parole "occhi a bambola, ciglia lunghe", ma col tempo i sintomi si erano moltiplicati e i medici della Campania avevano poi scoperto che Mario aveva anche difetti interventricolari multipli al cuore, cioè tanti buchini», spiega Giovanni. Lo chiamano swiss cheese, formaggio svizzero, un passaggio di sangue che sovraccarica i polmoni, tanto che Mario finisce al Sant’Orsola di Bologna per due operazioni a cuore aperto, e lì la genetista azzarda un nome: Chops. Un nome aggraziato, «da scoiattolo di Paperino», ma una malattia genetica così rara che nel mondo ne esistono trenta casi, in Italia tre. «Grazie a Dio uno dei tre era in cura al Sant’Orsola, se no ancora oggi brancoleremmo nel buio. Nulla è avvenuto per caso».
Mario, 2 anni e mezzo, con i suoi grandi occhi di bambola e le ciglia lunghe, sintomo della Chops - Famiglia Zampella
Mario dunque è un “bambino Chops”. Luce è l’altra bambina Chops italiana, e le loro famiglie si sono strette come naufraghi sullo stesso scoglio: quando la malattia è rara ti senti sperduto, mancano conoscenze, prognosi, terapie, manca persino una previsione sul futuro di tuo figlio. «Sapere di non essere i soli al mondo diventa vitale. Abbiamo iniziato a cercare anche le altre 30 famiglie all’estero – dice Manuela –, volevamo vedere il futuro di Mario, sapere come vivono i loro figli, che sintomi hanno, che cure. Su whattsapp abbiamo scritto a "Chops Kids" ma nessuno ci rispondeva, ero delusa, pensavo fosse una bufala, ma di nuovo il destino ci ha messo lo zampino…». Anzi, ce lo ha messo Mario, che con il ditino ha fatto partire inavvertitamente una videochiamata. Dall’altro capo rispose una donna americana.
«Era Lainey Moseley, giornalista, mamma di Leta, 25 anni», la prima al mondo a ricevere la diagnosi di Chops nel 2015, quando la malattia è stata scoperta dallo statunitense Ian Krantz e dal giapponese Kosuke Izumi, entrambi genetisti a Philadelphia. «Presto la Rete internazionale di famiglie con bambini Chops mi ha chiesto di farmi portavoce per raccogliere fondi per la ricerca, la sola speranza per i nostri figli».
La gara di solidarietà non si ferma grazie a Mario - Famiglia Zampella (foto Davide Nucera)
Chops è un acronimo impietoso, dove la C sta per ritardo cognitivo (cognitive impairment) e via via le altre lettere descrivono gravi difetti cardiaci e polmonari, obesità, displasia allo scheletro e statura bassa, problemi a vista e udito. Nessuna ereditarietà, né dalla madre né dal padre, solo un imprevedibile gene impazzito che impedisce lo sviluppo di organi e tessuti. Oggi non esiste terapia per la Chops, ma riuscire a curare i tanti sintomi darebbe ai bambini una vita vivibile, e scoprire l’origine della mutazione genetica sarebbe il primo passo verso un farmaco. Ma le malattie rare sono anche “orfane”, per pochi bambini la ricerca non conviene, non fa business… «Così ci siamo mossi noi», spiega Manuela con grinta materna: a marzo 2023 hanno avviato una raccolta fondi, a maggio hanno istituito la “Fondazione Chops Malattie Rare Ets”, ente del terzo settore di cui lei è presidente, e lo stesso giorno è andata a Siena a incontrare Ian Krantz, lo scienziato americano scopritore della sindrome, che l’ha fatta parlare davanti a un congresso di medici, «perché nella mentalità Usa il ruolo dei genitori nello studio delle malattie rare è fondamentale, siamo osservatori preziosi».
Mario indossa la maglia della Fondazione Chops nata dai suoi genitori e da quelli di Luce - Famiglia Zampella
L’obiettivo è raccogliere al più presto i 400mila euro necessari per avviare la ricerca e la risposta è stata subito travolgente: in 15 giorni sono arrivati i primi 60mila euro, in buona parte dai colleghi della Polizia di Stato, e oggi grazie a parrocchie, scuole, gruppi di amici o di sconosciuti che dal nord al sud organizzano spettacoli, sagre, eventi sportivi, sono stati raccolti 220mila euro (https://fondazionechopsets.com/pages/dona-ora). Il motore è sempre Mario, con i suoi occhi di bambola che non lasciano indifferenti: «A Reggio Calabria una preside ha raccolto 9.000 euro organizzando in pochi giorni una maratona cui hanno aderito mille persone. E qui a Cadoneghe don Silvano Berto, parroco di San Bonaventura, ha mosso le montagne, fin dall’inizio è il nostro più grande motivatore». Non un solo euro va sprecato, per questo la Fondazione Chops ha arruolato una commissione composta da genetisti e ricercatori, capitanati da Ian Krantz, che (gratuitamente) valutano i progetti internazionali. I primi 70mila euro sono già stati destinati a finanziare una compagnia Usa di biotecnologie che mira a individuare le terapie adeguate alla complessità dei sintomi. Inoltre la Fondazione sta per avviare un bando aperto a tutto il mondo per un progetto di ricerca che scopra i meccanismi genetici della sindrome, «e il ricercatore scelto dalla commissione riceverà 200mila euro», continua Manuela, che continua a girare l’Italia con eventi di sensibilizzazione perché la gara di solidarietà non si fermi. «Non lo facciamo solo per Mario – sottolinea –, noi sogniamo la terapia genica che sblocchi tutti questi bambini, perché c’è qualcosa che non permette loro di evolversi al passo con l’evoluzione cronologica». Mario a 2 anni e mezzo non dice una parola e non cammina, anche se sa farsi capire molto bene e da un anno ha imparato a strisciare, «una conquista enorme, ci abbiamo lavorato mesi… Quanta fede ci vuole in tuo figlio per credere che possa fare certe cose? Prima se lo mettevi a terra stava immobile, poi ha iniziato a sollevare la testa, infine con tanta fisioterapia e tanti pianti ha imparato a strisciare verso il giocattolo. Ora prende e parte!». Il logo della Fondazione Chops Ets è un bimbo che sale le scale con lo zaino sulle spalle, perché ogni bambino Chops ha la sua salita da fare e «anche Mario ha il suo zainetto e noi non sappiamo cosa porta».
Il logo della Fondazione Chops: bimbi con una vita in salita e uno zaino pesante - Famiglia Zampella
È una scienziata e si vede, «essere elastica e pensare a soluzioni alternative è il mio lavoro di astronoma, così mi sono detta: c’è questa diagnosi, possiamo fare qualcosa?». Ma prima della scienza, la forza le viene dalla fede, «da sola non reggi un peso del genere – assicura Manuela – se avessi una percezione solo umana sarei schiacciata, ma c’è Chi mi sostiene passo dopo passo. Forse proprio il senso di meraviglia per il mistero bellissimo del cosmo mi ha condotta allo stupore di Qualcuno di più grande. Ero alle elementari quando decisi che avrei fatto l’astronauta, oggi però per Mario rinuncerei a tutto». A impedirglielo è Giovanni, il custode dei suoi sogni: «Manuela quando era incinta fu assunta in un prestigioso centro di Astrofisica in Germania, avevamo già trovato la casa e il nido a Berlino, io avrei fatto il pendolare, tenevo troppo alla sua realizzazione. Ma poi si è dovuta licenziare…». Ora però il sogno è ripreso, Manuela ha vinto il concorso per ricercatore all’università di Palermo (unica donna tra i candidati) e Giovanni, in attesa del trasferimento, la raggiunge spesso grazie alle “ferie solidali” offerte dai colleghi poliziotti di Padova. «In passato la seguivo spesso in giro per il mondo quando partecipava a esperimenti affascinanti – ricorda entusiasta –, sui ghiacci dell’Antartide dove 5.000 occhi/sensori captano i neutrini, le misteriose particelle emesse dal cosmo, o tra i rilevatori della Pampa argentina puntati verso il cielo, e al Cern di Ginevra. Guai se smettesse».
La famigia Mallamaci Zampella unita per la speranza - Famiglia Zampella (foto Davide Nucera)
Giovanni però con Dio si è arrabbiato, «se ho fatto qualcosa di male prenditela con me, gli dicevo, non punire il mio bambino. Ero polemico, provavo rabbia... Poi mi sono reso conto che Manuela prendeva le decisioni da sola e io le contestavo, facevo discussioni sterili, ero solo un peso, così sono "tornato"… Oggi a Dio dico solo dammi la forza, donaci una speranza». Manuela non ha avuto il tempo di abbattersi, «la classica domanda "perché a noi?" non mi sembrava utile, sono stata catapultata in questa realtà e dovevo agire. Mario forse è nato con questa missione, doveva smuovere tanti cuori, la gente dona perché vede i suoi grandi occhi e il suo sorriso». Nessuno dei due, comunque, tornerebbe mai indietro, «la vita senza Mario sarebbe inimmaginabile. Dove andrei io senza di loro?», si commuove Giovanni, «Manuela non è solo mia moglie, è la mia amica, siamo due anime ma una sola testa».
La famiglia a Reggio Calabria - Famiglia Zampella
Dall’altra stanza si sentono schiocchi di baci, è il segnale che Mario si è svegliato e li sta chiamando, «fa così tutti i giorni». Seduto sul tavolo di cucina, ora allarga in tutta la lunghezza le braccine, una a destra sul naso del papà, una a sinistra sui capelli della mamma, «ci deve sentire tutti e due, allora ride». I bambini non si arrendono, aggirano l’ostacolo e inventano nuove vie: Mario, bambino Chops, parla con i baci.