venerdì 1 giugno 2012
Il Duomo di Mirandola e il museo diocesano di Carpi, ma anche tanti pievi di campagna: la situazione dopo le prime verifiche è pesantissima. A rischio sono anche molti servizi offerti dalle parrocchie, dagli oratori agli asili. Si cerca di mettere in sicurezza gli edifici che hanno retto alle scosse. E si pensa già a tensostrutture provvisorie. di Paolo Viana
Caritas: come contribuire Dalla Cei altri 2 milioni
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​Paonazza sotto il caschetto da cantiere, l’architetto Silvia Pongiluppi mima la torsione con il corpo ed è come se il terremoto di martedì avesse fatto ruotare anche lei, insieme al campanile di Fossa. «Non c’è più uno spigolo a piombo – dice – rischia di crollare alla prossima scossa». La chiesa di San Pietro Apostolo a Fossa di Concordia è uno dei monumenti più lesionati della diocesi di Carpi. Altri semplicemente non esistono più. Altri ancora interrogano il coraggio e la prudenza: il campanile di Medolla è in piedi ma non si sa come cerchiarlo ed è troppo pericoloso abbatterlo, perché è circondato dalle case. La passione delle chiese emiliane è diventata un fenomeno da copertina. Il duomo di Mirandola è l’icona dell’identità polverizzata di questo popolo di mangiapreti – così vuole la tradizione –, ma attaccatissimo alle sue chiese, ai suoi oratori, alle sue pievi di campagna. «Il terremoto cancella le radici dei modenesi, i danni sui monumenti cittadini sono enormi, ma quando giriamo nelle campagne scopriamo piccoli santuari in macerie», insiste Pongiluppi, al secondo giro di verifiche. «Avevamo iniziato subito dopo il 20 maggio – spiega Marco Soglia, ingegnere della diocesi di Carpi – ma adesso è tutto da rifare». Dati ufficiali nessuno, la prima stima è peggiore del previsto: «Con martedì la situazione si è aggravata in città ma le chiese di campagna sono in condizioni di-sa-stro-se!». Sono tecnici, ma le condizioni dell’antica pieve di Quarantoli turbano anche loro. «Molte chiesette erano appena state restaurate con l’8 per mille e il contributo dei parrocchiani – precisa Pongiluppi – che prestavano i soldi senza interessi. In altri casi, ci sono dei mutui da pagare...».Il terremoto ha aperto una voragine sotto le diocesi di Carpi e di Modena-Nonantola, le più colpite, nella quale rischia di precipitare la vita religiosa e culturale, la memoria collettiva, il turismo e persino una quota ragguardevole di quei "servizi" dei quali la società emiliana va fiera. Chiese e oratori, scuole materne e campanili, il sisma non ha risparmiato nulla. Ad una prima stima, effettuata dagli uffici tecnici delle due diocesi, riparare tutto costerà più di 400 milioni di euro (e nelle cinque diocesi colpite, comprese Bologna, Ferrara-Comacchio e Mantova, si arriverebbere al miliardo). Senza contare i danni al patrimonio mobiliare – statue, arredi, dipinti. Il museo diocesano di Carpi è ostaggio delle crepe. Il suo direttore, Alfonso Garuti, parla di «catastrofe artistica». Racconta, affranto: «La grande croce di marmo che si schianta nella navata della cattedrale, sfondando la volta, e la facciata di Baldassarre Peruzzi, il senese arrivato a Carpi direttamente dalla corte di Giulio II, che si stacca e pende... Oppure lo sconquasso del duomo di Mirandola e la fine di San Francesco, gotico quattrocentesco in pezzi, la devastazione della chiesa del Gesù con le sue sculture di legno, sepolte dalla volta...». E poi palpitante: «San Biagio in Padule custodiva preziosi dipinti e Camurana il busto di terracotta di Antonio Begarelli, il più grande scultore modenese del 500...». Angosciato: «Che dire di Finale Emilia? Il patrimonio accumulato grazie ai commerci fluviali è svanito. Nelle sue chiese c’erano dipinti della scuola del Guercino...». Di tutto questo potrebbe restare solo un file e solo perché la Cei ha promosso una catalogazione delle opere d’arte nel 2009, poco prima del terremoto dell’Aquila.«Il terremoto non ha risparmiato neanche le scuole materne e le strutture che mettiamo a disposizione della comunità civile», aggiunge Stefano Battaglia, economo della diocesi di Carpi. «Stiamo organizzandoci per impedire che l’emergenza interrompa la vita diocesana – commenta – e per offrire agli sfollati le strutture ancora agibili». Sta avvenendo nelle tre parrocchie "superstiti" di Carpi. «Vogliamo partire subito con la messa in sicurezza degli edifici che hanno retto alle scosse – promette Domenico Ferrari, responsabile dell’ufficio tecnico dell’arcidiocesi di Modena-Nonantola –, poi capiremo quali chiese possano essere riaperte o dove si debbano installare delle tensostrutture per garantire che entro l’inverno la vita liturgica e spirituale della nostra gente possa riprendere regolarmente». Si stanno già progettando nuove chiese in legno.
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