«Stiamo seguendo la vicenda con molta attenzione. Sono costantemente in contatto con carabinieri e polizia. Le assicuro che non sottovalutiamo quanto sta accadendo a Rosarno. Quella situazione mi sta particolarmente a cuore». Così il procuratore di Palmi, Ottavio Sferlazza commenta quanto scritto ieri da
Avvenire sul crescere della tensione a Rosarno, sui sei migranti aggrediti a colpi di spranghe e di catene, e su chi sta soffiando sul fuoco proprio in concomitanza col sesto anniversario, oggi 7 gennaio, della rivolta dei migranti nel 2010. Per spingerli a una nuova reazione. E ieri si è mosso anche il ministero dell’Interno. Dal Viminale, letto l’articolo, sono partite telefonate per la Prefettura e la Questura di Reggio Calabria, che a loro volta hanno chiesto informazioni alle Forze dell’ordine sul territorio. Sono stati così contattati sia il parroco di S.Antonio al 'Bosco' di Rosarno, don Roberto Meduri, sia don Pino Demasi, parroco della Chiesa Matrice di Polistena e referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro. Per raccogliere ulteriori informazioni ma anche per assicurare la crescente presenza delle istituzioni. Ieri, infatti, i mezzi di carabinieri e polizia presenti nella zona della tendopoli erano più dei giorni scorsi. Le indagini per identificare i responsabili delle aggressioni che operano a bordo di una Punto bianca non sono comunque a zero. Purtroppo gran parte delle telecamere dell’Area di sviluppo industriale di San Ferdinando, dove si trovano la tendopoli e il campo coi container ma anche le ex fabbriche occupate dai migranti, non sono funzionanti ma qualche elemento interessante sarebbe in mano agli investigatori che, ovviamente, non dicono nulla di più. Mentre è chiaro il clima che favorisce la tensione. «La crisi agricola di quest’anno è particolarmente grave – sottolinea il procuratore – e i migranti sono più degli anni passati. Solo nella tendopoli sono almeno 1.100 per una capienza di soli 400 posti. Una situazione molto grave che stiamo seguendo con molta attenzione perché c’è chi prova a far salire la tensione». Così come, aggiunge, «continuiamo ad indagare con impegno sul grave fenomeno del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori immigrati». Questa attività e la maggior presenza delle Forze dell’ordine ha messo sul chi vive i caporali che stanno mettendo in campo delle contromisure, modificando anche le modalità di 'arruolamento' dei lavoratori per non essere individuati. Ma potrebbe essere inutile. Dunque, massima attenzione anche perché c’è chi continua a far girare voci allarmistiche a conferma di un vero e proprio piano di provocazioni. Voci che si sono ripetute dopo quelle sull’incidente stradale che la sera di lunedì aveva visto coinvolto un furgone con alcuni migranti che aveva investito due bambini. La scorsa sera il tam tam su una 'rivolta dei neri' é ripreso. Chi parlava dell’ordine di chiudere le saracinesche dei negozi, chi assicurava di aver visto dei giovani bloccare alcune strade del paese, chi andava allarmato da don Roberto. «E ora come torno a casa?». Tutto falso. Alla tendopoli tutto é filato tranquillo e l’unica seria preoccupazione è stata la riparazione di alcuni cavi elettrici che ha riportato un po’ di normalitá, pur se sempre precaria, alla distribuzione di energia. Ma anche su alcuni siti web continua la circolazione di notizie false o gonfiate che provocano un fiorire di reazioni violente contro i migranti. Da «bastardi » a «cacciamoli via» e anche peggio. Messaggi che vengono monitorati dalle Forze dell’ordine per capire chi si nasconda dietro. E proprio su organizzatori e ispiratori interviene don Pino Demasi. «Non é tollerabile usare i migranti per altri fini. Prima di tutto dobbiamo tutelare la dignità delle persone. È inaccettabile questo tentativo di creare tensione a proprio vantaggio». Ma, avverte, «la denuncia non basta. Bisogna superare questa fase emergenziale. Ora va risanata la tendopoli ma poi andranno trovate altre soluzioni. Ad esempio incentivando i proprietari agricoli ad accogliere i lavoratori immigrati. Aiuterebbe anche il processo di integrazione. Lo fanno da anni in Trentino, perché non lo si riesce a fare anche in Calabria?».