Gabriel sabato 27 marzo alla partenza da Caserta sul pullman che lo riporta in Romania
Ci siamo riusciti. Gabriel, vestito a nuovo, è salito a Caserta sull'autobus che lo riporterà in Romania. La sua storia aveva commosso i lettori di Avvenire. Ma non è stato semplice. Gabriel, approdato, qualche anno fa in Italia con un bagaglio zeppo di sogni e di speranze, ha visto svanire, in breve tempo, gli uni, le altre e anche i documenti. L'amico che gli aveva promesso protezione e aiuti si è dileguato partendo per la Germania. E lui, senza conoscere una sola parola della nostra lingua, dopo aver cercato inutilmente un lavoro, è finito sotto i ponti.
Poi anche i ponti sono diventati un lusso, e nelle ultime settimane si rannicchiava all'aperto, avvolto nei suoi stracci, proprio nel nostro quartiere popolare. I poveri sanno che dai poveri arriverà sempre un pezzo di pane. Nella mia parrocchia, oltre a fornirgli il necessario, ci chiedevamo in che modo poter essere, concretamente, di aiuto a questo fratello senzatetto. Viveva di niente, Gabriel, gli bastavano il vino, tanto vino, e le sigarette. Non era violento, non rissoso, non inveiva, non pretendeva, solo chiedeva, con una smorfia che, un tempo, forse, dovette essere un sorriso.
Quanti anni poteva avere? A prima vista almeno una settantina; dai documenti, che siamo riusciti a fargli avere dal consolato, abbiamo appreso che era nato nel 1964. Un uomo ancora giovane, dunque, ma tanto, tanto malandato; gli anni passati a vivere da barbone lo hanno segnato fortemente. Per deambulare ormai si aiutava con una stampella.
Gabriel ha messo a dura prova la nostra fede, i nostri sonni, la nostra umanità, il nostro senso civico. Non era facile aiutarlo, perché lui non accettava facilmente di essere aiutato. Chissà quanta rabbia, quante delusioni, quante amarezze, quanti rimpianti gli passavano in cuore. Era solo, completamente solo. Negli ultimi tempi avevo il terrore di trovarlo morto una mattina nei suoi stracci bagnati e puzzolenti. Occorreva a tutti i costi fare qualcosa. Davanti alla sua caparbietà, le autorità civili si arrendevano: non si può, con la forza, prelevare un uomo pacifico che non dà fastidio, non schiamazza, non litiga.
Eppure, in questo tempo di pandemia, Gabriel rappresentava un problema: non ha mai indossato la mascherina, ed era diventato incontinente. Da soli, lo sappiamo bene, non si va da nessuna parte. Occorreva mettere insieme le forze, le competenze e tanta buona volontà. Insieme, parrocchia, Caritas diocesana, volontari, associazioni sul territorio, aiutati anche dalla locale caserma dei Carabinieri.
Gabriel, ormai allo stremo, ha accettato di essere portato in un dormitorio della Caritas. Un fratello, prete rumeno, lo ha accompagnato a Roma e in un solo giorno gli ha fatto avere un documento di riconoscimento. Con tanta buona volontà e infinita pazienza i volontari lo hanno aiutato a lavarsi, a sbarbarsi, a profumarsi. Gabriel sembrava un'altra persona. Che gioia!
Sabato mattina, proprio alla vigilia della Settimana Santa e terribile, Gabriel è salito su un autobus per la Romania. Ritorna nella sua patria, tra la sua gente, nella propria famiglia, quest'uomo che il Signore ha messo sul nostro cammino. Certo, non è lo zio che torna dall'America con la valigia piena di regali, ma un uomo provato che torna a casa dopo un'esperienza dolorosa. Buona vita, fratello Gabriel.
La burocrazia ha i suoi tempi, i suoi pregi e i suoi difetti; può accadere che al riparo delle carte da attendere e da firmare tanta gente nasconda la propria pigrizia. Ci sono invece giorni, situazioni, emergenze, persone che chiedono alla pietà e al buon senso di correre in avanti. Ci sono situazioni che sfidano i credenti e li spingono ad accollarsi oneri e responsabilità che competerebbero ad altri.
La Chiesa corre sulle ali della speranza, della carità, della fede. E arriva prima. Chi in Gabriel ha visto solo un fastidio di cui al più presto sbarazzarsi, è rimasto al suo posto, con le mani in mani, a lamentarsi. Chi, al contrario, è riuscito a vedere in lui il Cristo sofferente, si è fatto cireneo e si è messo sotto la croce. I seguaci di Gesù lo sanno bene, non sarà mai Pasqua per chi non sa vedere nel volto tumefatto di un barbone infreddolito il volto di Gesù crocifisso.
È vero, non sempre è facile amare i fratelli senzatetto, testardi, tante volte alcolisti, che mettono in subbuglio le tue certezze, le tue comodità, tua coscienza. Ma tutti possiamo fare uno sforzo in più perché anche sul loro cammino spunti un raggio di sole che li riscaldi e li rincuori.