Alberto studia Giurisprudenza, gli mancano tre esami alla laurea triennale. Ha la media del 28. Studia dietro le sbarre del carcere Lorusso e Cutugno di Torino. Quand’è stato arrestato, nel 2006, non aveva la licenza media. Quella della casa circondariale torinese è delle poche realtà in Italia. In altre carceri esistono forme di tutoraggio e accompagnamento per chi si iscrive all’Università, ci sono anche sezioni riservate a carcerati-universitari. In queste realtà i professori molto spesso entrano in carcere solo per gli esami, o per brevi incontri individuali. Quella di Torino è una realtà molto più strutturata, un vero e proprio 'Polo universitario' che ha vita all’interno del carcere e che ha pochi pari in Italia. I corsi si tengono nella casa circondariale, con cicli di lezioni per tutti i piani di studio tenuti da una quarantina di professori. Un esame breve, di 6 crediti, prevede dodici ore di lezione (un terzo di quanto avviene 'fuori'). In Italia sono oltre 300 i detenuti iscritti a un corso universitario. Quasi tutti uomini: «In carcere le donne subiscono più degli uomini condizioni di miseria e povertà», dice il garante dei carcerati Maria Pia Brunato. A Torino gli studenti sono 27 nei due dipartimenti attivati, Scienze Politiche e Giurisprudenza. Tra di loro alcuni ergastolani e diversi stranieri. Quest’anno in dieci dovrebbero laurearsi (finora a diventare 'dottori' sono stati in trenta). Ieri è stato inaugurato il sedicesimo anno accademico, con una cerimonia durante la quale non potevano mancare riferimenti al decreto svuota-carceri appena approvato alla Camera.Il Polo, vista la sua eccellenza, attira domande da tutta Italia. Alberto, che ha una condanna a 18 anni, ha chiesto il trasferimento dal carcere di massima sicurezza di Fossombrone. Quest’anno le richieste erano dodici, ma sono state accettate solo quattro matricole. A Torino i carcerati possono usufruire di borse di studio col contributo della Compagnia di San Paolo, che copre tasse d’iscrizione, libri, fotocopie. Ogni anno sono attivate cinque borse lavoro (per chi ottiene misure alternative), alcune prevedono tirocini nell’avvocatura del Co- mune. Al progetto danno una mano due volontari del servizio civile.«Dovete darci possibilità concrete», ha detto dopo i saluti di rito il rappresentante degli studenti. E ha elencato i tasti dolenti. Non sono mai arrivati i computer promessi. Non ci sono aule studio, c’è un solo stanzone dove si tengono le lezioni, non adatto allo studio individuale. Il rettore dell’Università, Gianmaria Ajani, ha appoggiato le loro richieste e ha detto che soffrono anche gli studenti 'fuori'. «In ogni dipartimento ci dicono che non ci sono spazi né risorse». Ad ascoltare c’era il nuovo direttore del carcere, Rosalia Marino. Franco Prina, responsabile del Polo per conto dell’università, indica per il futuro la strada di un protocollo d’intesa nazionale, a cui si sta lavorando, per estendere il diritto allo studio dietro le sbarre, ampliare il numero di studenti detenuti e dipartimenti coinvolti.