giovedì 5 gennaio 2012
​La struttura realizzata in una palazzina confiscata alla mafia e affidata a un’organizzazione dei Gesuiti poteva ospitare 60-70 persone. Doveva essere messa a norma, ma la burocrazia incombe.
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​Il portone fatica ad aprirsi. Dentro tanta polvere, muri scrostati, pezzi di controsoffito sui letti. Il piccolo cortile è invaso dalle piante. Immagini di abbandono. Ma soprattutto dell’ennesima sconfitta delle istituzioni sul fronte della legalità e dell’immigrazione. E mentre nella città si muore in abitazioni di fortuna, come lo scorso 19 dicembre un giovane senegalese, questa struttura resta chiusa. Sulla facciata due scritte Centro Astalli e Casa di accoglienza Padre Pino Puglisi. Siamo a Catania, via Delpino, 12, quartiere Zia Lisa. Questo palazzetto di due piani, circa 400 metri quadri, era di Nicolò Maugeri, della cosca Santapaola. Confiscato nel 2002 e assegnato al Comune, viene consegnato nel dicembre 2006 al Centro Astalli dei Gesuiti per farne un ostello per immigrati. Il Comune lo consegnò «in uno stato pietoso», ci ricorda una delle operatrici, Elvira Iovino. A pian terreno c’era un deposito di camion con pezzi di motori, oli e sporcizia. L’associazione, con l’aiuto di privati, tirò fuori 120mila euro per la ristrutturazione, svolta da operai immigrati e del difficile rione di Librino, una bella azione di integrazione. E il 14 gennaio 2007, Giornata mondiale del migrante, il centro fu inaugurato: al pian terreno le grandi stanze da letto, bagni e docce, ambienti comuni per svago e incontro; al primo piano la cucina, altre camere più piccole e la sala da pranzo. Il progetto prevedeva l’ospitalità di 60-70 immigrati. E così va, con il coinvolgimento anche degli abitanti che dopo la diffidenza dei primi giorni collaborano col Centro. Nel 2008, in occasione di una ricorrente emergenza, su richiesta della prefettura, ospita per 4 mesi 30 richiedenti asilo. Insomma un’attività molto positiva al punto da essere inserita nel rapporto sui cento progetti di buone prassi sui beni confiscati. Uno dei pochissimi casi a Catania, dove i beni utilizzati sono solo 5 su 60. Tutto bene, dunque, fino al dicembre 2008, quando arriva un’ispezione dei carabinieri del Nas. I militari denunciano una serie di "pecche". Niente di pericoloso, per carità, ma gli operatori degli Astalli scoprono che, strano ma vero, gli ostelli per immigrati o senza fissa dimora devono rispettare le stesse regole degli alberghi. Così si decide di chiedere al Comune un finanziamento per la messa a norma. Bastano 100mila euro. Ma nel frattempo l’ostello chiude. É il gennaio 2009. Dall’amministrazione comunale arriva l’assicurazione che i lavori saranno fatti. Ma da allora tutto è ancora bloccato, malgrado i continui solleciti. I soldi ci sono, stanziati dalla Regione Sicilia e assegnati al Comune il 2 dicembre 2009. Mancano la gara d’appalto e altre pratiche urbanistiche. Nel frattempo il Centro ha assicurato, sempre a spese proprie, fino al settembre scorso la sorveglianza anche notturna dell’edificio che contiene ancora letti, materassi, coperte, lavatrici, e il resto della mobilia, per evitare quello che succede spesso ai beni confiscati abbandonati: furti e vandalizzazioni. Certo, senza l’ordinaria manutenzione, non è stato possibile evitare il degrado. E ora senza più sorveglianza si teme il peggio. Inoltre sempre nel 2009 è scaduto il contratto di comodato d’uso gratuito per tre anni. Eppure neanche dopo la scadenza il Comune si fa sentire. Neanche un sopralluogo. Neanche dopo che gli Astalli il 19 dicembre 2009 chiedono il rinnovo del comodato d’uso. Niente per anni. Così in previsione di questo inverno il Centro aveva inviato varie lettere: al sindaco il 17 giugno,  all’assessore ai Servizi sociali il 25 luglio. Risposte? Nessuna. Eppure il 21 marzo la Direzione al Patrimonio del Comune aveva inviato al Centro la richiesta di una «dettagliata relazione» sui «risultati conseguiti in funzione degli obiettivi sociali fissati», oltre che sulle «condizioni dell’immobile». Cosa prontamente fatta il 13 aprile. Ma anche dopo questo invio non è successo nulla. Malgrado nella lettera del Comune fosse scritto che successivamente sarebbe stato concordato «un incontro volto ad attenzionare e ove possibile risolvere le problematiche legate allo svolgimento delle attività della stessa e all’uso dell’immobile concesso». Ma i mesi passano e non succede nulla. E crescono dubbi e sospetti. Anche sul rischio che su quel bene altri abbiano messo gli occhi. Nel frattempo l’inverno è arrivato e secondo la Caritas sarebbero almeno 300 gli immigrati che dormono per strada, oltre ad altre centinaia in edifici abbandonati. Così gli operatori hanno accolto con speranza l’inaspettata visita del nuovo procuratore Giovanni Salvi che, dopo aver ascoltato l’incredibile storia del Padre Puglisi, ha assicurato che se ne occuperà presto.
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