sabato 26 giugno 2021
Dal servizio civile ai gemellaggi, dai corridoi umanitari agli empori solidali: la Caritas si pone mete non assistenziali, ma pastorali e pedagogiche
Caritas, assistenza domiciliare durante la pandemia Covid-19. Un volontario Caritas effettua gli acquisti per una persona anziana

Caritas, assistenza domiciliare durante la pandemia Covid-19. Un volontario Caritas effettua gli acquisti per una persona anziana - Siciliani

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Dagli Anni di Piombo fino a quelli della pandemia, la Caritas italiana ha camminato mezzo secolo accanto agli ultimi diventando una presenza famigliare per gli italiani. Aveva in mente questo Paolo VI quando ebbe l’intuizione di dare vita a un nuovo organismo pastorale che portasse nella società e nella Chiesa lo spirito del Concilio.

La Caritas si pone mete non assistenziali, ma pastorali e pedagogiche. Dunque non può e non deve mai fermarsi. Come non si fermava mai in quegli anni il prete padovano Giovanni Nervo, figura iconica, tra i padri del volontariato italiano che, nominato presidente e affiancato da don Giuseppe Pasini, poi suo successore alla direzione, inizia a percorrere le diocesi italiane per presentare la novità e chiedere sostegno. Gli altri direttori sono stati don Elvio Damoli, scomparso a gennaio, poi don Vittorio Nozza e oggi don Francesco Soddu.

Gli anni Settanta e la generazione conciliare portano fermento e voglia di rinnovamento nella Chiesa italiana. Con il primo Convegno ecclesiale su “Evangelizzazione e promozione umana”, tenutosi a Roma nel 1976, viene lanciata la proposta dell’obiezione e del servizio civile e alle ragazze quella dell’anno di volontariato sociale.


Nervo, Pasini, Damoli, Nozza e Soddu: i direttori dell’organismo pastorale incaricato a portare nella società e nella Chiesa lo spirito del Concilio

Ricorda quei giorni Maria Teresa Tavassi, una delle prime collaboratrici di Nervo, che lavorò al lancio dell’anno di volontariato sociale che ha coinvolto migliaia di ragazze in esperienze di condivisione di vita con i poveri, vita comunitaria, formazione, animazione sul territorio, insomma cittadinanza attiva. «Riflettemmo insieme ad associazioni e gruppi che già operavano a livello nazionale con i giovani: Azione cattolica, Agesci, Gioc, Capodarco, Agape di Reggio Calabria, salesiani, Sant’Egidio.

Nel 1981 nacque ufficialmente l’Avs, ad opera di quattro ragazze che a Vicenza avviarono la prima esperienza, con tanto di mandato ufficiale da parte del vescovo Arnoldo Onisto. Era il clima del post Concilio, di grande entusiasmo, con la volontà di essere in qualche modo utili e valorizzati nella Chiesa e nella società. Con l’appoggio delle diocesi, che mettevano a disposizione appartamenti e luoghi di incontro, facemmo vivere l’esperienza della pace e della non violenza nella forma di servizio con la specificità femminile».

Nel 1977 la Caritas stipulò la convenzione col ministero della Difesa per il servizio degli obiettori di coscienza al servizio militare, che saranno oltre 100mila alla sospensione della leva nel 2005. Uno di questi è Roberto Rambaldi, che prestò servizio civile in Friuli nel 1976 durante il terremoto con la Caritas diocesana e poi rimase a coordinare i gemellaggi che nel frattempo erano nati tra le diocesi e i paesi terremotati. Gemellaggi divenuti fondamentali nelle successive emergenze italiane e internazionali.

«Don Giovanni Nervo – racconta Rambaldi – mi portò a lavorare nel 1980 in Irpinia e in Basilicata sempre con il metodo dei gemellaggi. Poi nel 1982 mi chiamò a Roma ai progetti del nuovo ufficio mondialità. Con un metodo nuovo cui Nervo e Pasini in anticipo sui tempi tenevano molto: rispetto delle persone destinatarie e cura dei soldi, soprattutto dell’obolo della vedova, da rendicontare con trasparenza. Poi presenza sul posto per stare in mezzo alla gente a servizio delle Chiese sorelle».

Rambaldi è diventato poi vicedirettore della Caritas Ambrosiana e dal 1997 al 2004 vicedirettore della Caritas italiana. Significativi gli interventi negli anni nell’ex-Jugoslavia e poi in tutti i Balcani, in Ruanda e nella regione africana dei Grandi Laghi. In Somalia, in uno degli interventi più significativi condotti all’estero da Caritas Italiana, il 22 ottobre ’95, fu uccisa Graziella Fumagalli, medico.

Con il Giubileo del 2000 vengono lanciati quattro ambiti di impegno a livello nazionale e diocesano: il debito estero, la tratta a scopo di sfruttamento sessuale, il carcere, la disoccupazione giovanile. Inoltre è da ricordare l’impegno diocesano e parrocchiale su povertà di strada, devianza minorile, immigrazione, insediamenti di nomadi.

Questo secolo vede l’impegno crescente a favore della salvaguardia del Creato con la richiesta di un nuovo modello di sviluppo a fronte delle crescenti disuguaglianze e delle crisi economiche e finanziarie che colpiscono il ceto medio e i precari. Nascono i fondi diocesani di aiuto alle famiglie e gli empori solidali. E di fronte all’arrivo dei profughi in fuga dal nord Africa, dalla Siria e dai conflitti dell’Africa subsahariana, nel 2017 partono i corridoi umanitari finanziati dalla Cei con l’8Xmille.

La lente della pandemia consente di leggere la situazione della Caritas di oggi: la collaborazione ormai rodata con gli enti locali e pubblici, i meccanismi di rilevazione della povertà quasi in tempo reale, con l’attivazione di volontari anche giovani per distribuire i pacchi viveri e tenere aperti i servizi. Ma le radici affondano nel Concilio e in questi 50 anni di impegno di due generazioni di volontari e operatori affamati e assetati di giustizia.

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