Dopo dieci anni di affidamento alle cooperative sociali, la gestione delle mense in nove carceri italiane tornerà nelle mani dell’amministrazione penitenziaria. «Sperimentazione conclusa», aveva annunciato lunedì il ministro della Giustizia
Andrea Orlando. Che nei giorni scorsi ha ribadito la sua decisione: «Purtroppo abbiamo una disponibilità finanziaria limitata e decrescente. C’è tutto il settore del lavoro in carcere su cui vogliamo investire: non ci possiamo accontentare di qualche eccellenza». Da Torino a Padova, da Ragusa a Milano, la decisione di interrompere la sperimentazione viene bollata come «un passo indietro di dieci anni». E che mette a rischio il posto di lavoro di circa 120 detenuti e quelli di 40 operatori esterni che supportano i progetti delle cooperative. Ma non solo. «Ora che le cucine tornano in mano al Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria si tornerà a mense non in linea con gli standard sanitari – sottolinea
Nicola Boscoletto, presidente del consorzio di cooperative sociali 'Rebus' attivo nel carcere di Padova – con prodotti scadenti e maggiori costi per l’amministrazione». Contrari alla decisione, che si muove in una prospettiva di ritorno allo statalismo, anche i direttori delle nove carceri coinvolte nel progetto che, in una lettera inviata al Dap, hanno definito la sperimentazione «oltremodo positiva» per il miglioramento della qualità del vitto e per i minori costi rispetto alla gestione ordinaria. Ma non è solo una questione economica. «I detenuti assunti dalle cooperative – scrivono i direttori – hanno avuto modo di sperimentare lavori veri che li hanno portati ad acquisire competenze e professionalità decisive per il loro reinserimento sociale». Il lavoro in carcere è il primo strumento per combattere la recidiva: chi sconta la pena senza fare nulla torna a delinquere nel 69% dei casi. Mentre chi ha avuto la possibilità di imparare un mestiere durante la detenzione torna a commettere nuovi reati solo nel 2% dei casi. «Ma questo vale solo per quanti si avvicinano a un lavoro vero, che si mette in gioco con le regole del mercato – sottolinea Nicola Boscoletto – e non per i lavori domestici che, al contrario, non abbattono nemmeno di un punto la recidiva». «Pazzesco. Dovrò licenziare 17 persone», commenta amareggiata
Silvia Polleri, presidente della cooperativa ABC-La sapienza in tavola che gestisce la mensa del carcere di Bollate e un servizio di catering. Uno dei requisiti della sperimentazione prevedeva che, assieme alla gestione delle mense, le coop sviluppassero progetti collaterali. Ma ora tutto rischia di svanire in una nuvola di fumo. «Il 15 gennaio devo riconsegnare le chiavi della cucina del carcere di Bollate. Non potremo rispettare le commesse già prese per catering e matrimoni. Dove cucineranno i dipendenti?» chiede Polleri. Anche 'Syntax Error', la cooperativa che gestisce la mensa del carcere di Rebibbia, non riuscirà a mandare avanti il servizio di catering: «Abbiamo già avvisato i revisori dei conti, metteremo 11 persone in cassa integrazione», annuncia il presidente
Maurizio Morelli. «Concordiamo con il ministro Orlando quando dice che bisogna riorganizzare il sistema del lavoro in carcere. Ma così si rischia di buttare il bambino con l’acqua sporca», commenta
Pippo Pisano, consigliere della coop 'L’arcolaio' che opera in carcere a Siracusa e che, oltre alla mensa, gestisce una pasticceria artigianale con altre sette persone. La cooperativa 'Campo dei Miracoli', invece, ha avviato nel carcere di Trani una produzione di taralli artigianali. «Mi piange il cuore – sottolinea il presidente
Salvatore Loglisci – perché so quali problemi vivono i dipendenti all’esterno. Dovrò dire a uno di loro che perderà il lavoro. E con questo la possibilità di pagare il mutuo della casa dove vive l’anziana madre». La sola speranza di un ripensamento è la riunione fissata a Roma il 30 dicembre con il nuovo Capo Dipartimento Santi Consolo.