sabato 6 luglio 2024
L’ex guardasigilli Marta Cartabia rilancia l’allarme sulle condizioni dei detenuti: «Interventi urgenti e pene alternative». L’impegno delle diocesi nella mediazione tra rei e vittime
Detenuti in cella

Detenuti in cella - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

«Il sovraffollamento nelle carceri è tornato ai livelli del 2013 come il tasso di suicidi. È urgente perciò fare qualcosa per allevare la sofferenza e la disperazione dei detenuti. Facciamo filtrare un po’ di luce”». Se la giustizia è uno dei poteri meno partecipati dai cittadini, che delegano, Marta Cartabia con il suo appello lanciato ieri pomeriggio nell’assolata piazza della Borsa alla settimana sociale di Trieste, ha richiamato l’attenzione sulla sua faccia più nascosta, la pena. Che per la Costituzione non va solo scontata in carcere, ma anche con pene alternative alla detenzione e da poco con forme nuove e complementari che soddisfino il bisogno di giustizia di vittime e colpevoli. i quali prendono così consapevolezza delle proprie responsabilità per il danno provocato dal reato commesso confrontandosi con le vittime. Questo ultimo aspetto fa parte della giustizia riparativa, altro pilastro della riforma processuale del 2022 che porta il nome di questa docente di diritto costituzionale, già presidente della Consulta e ministro della giustizia nel governo Draghi.

La settimana sociale triestina ieri ha acceso la luce anzitutto il dramma delle carceri dove le persone detenute suicidatesi nella prima metà del 2024 sono 44. Dieci in più rispetto al giugno del 2023 mentre alla fine giugno del 2022 erano 33. «Dobbiamo chiederci - ha proseguito Marta Cartabia - cosa vogliamo fare, se continuare a punire e creare disperazione o se, come ha detto il papa a fine aprile nella visita alla Giudecca a Venezia, se lasciare un orizzonte alle persone recluse. Come chiede anche la nostra Costituzione. Invece sono stati fatti passi indietro nella vigilanza dinamica e la gente resta chiusa in cella». In concreto, per l’ex Guardasigilli vanno attuate subito alcune misure di sollievo già sperimentate durante la pandemia da Covid. « Ad esempio penso alla possibilità di effettuare più chiamate ai famigliari o alle scarcerazioni anticipate che non hanno creato allarme sociale».

Cartabia - che ai detenuti del Beccaria, il carcere minorile di Milano, che nell’ultimo giorno i n cui era in carica le domandavano perché si preoccupasse di loro rispose che i loro problemi erano i suoi problemi - guarda ovviamente con attenzione all’attuazione della parte della riforma che ha normato la giustizia riparativa. «Bisogna fugare i pregiudizi che la circondano. Contrariamente a quanto si pensa, l’adesione è volontaria da parte di chi ha commesso il reato e da parte delle vittime o dei suoi famigliari o della comunità danneggiata ed è complementare, non alternativa alla pena.» Quanto al reinserimento dei detenuti, il ruolo dei territori, a partire dalle diocesi, è sempre più strategico. «In questa fase storica in cui manca la manodopera anche poco formata, il terzo settore può fare da tramite con le imprese per fare assumere detenuti prima che vengano scarcerati in modo da creare un rapporto di fiducia». Infine la lunghezza estenuante dei processi. Lo scopo della riforma è certamente deflattivo dei processi, come ci ha richiesto l’Ue, per alleggerire il carico sui tribunali.Nell’ultima rilevazione Istat su “Cittadini e giustizia civile” del 2023 risultava che in Italia solo il 28% delle cause civili si chiude in un anno. «E i processi lunghi giovano solo a chi ha torto», ha concluso Cartabia.

Trieste è anche vetrina di buone pratiche. Per Sara Rata, responsabile dell’ufficio distrettuale Uepe triestino la giustizia riparativa è una sfida che richiede un cambio di paradigma culturale. «Chi ha commesso reati, lo ha fatto non solo contro lo stato e quindi occorre preoccuparsi di come reinserirlo nelle comunità in cui ha creato danni. A Trieste abbiamo costituito un tavolo di coprogettazione con territorio, università e terzo settore, la rete è fondamentale per passare da reclusione a inclusione
Andrea Natali, dell’ associazione degli avvocati specializzati in mediazione Unam ha ricordato come la mediazione civile e commerciale con la riforma Cartabia venga valorizzata. «La mediazione riparativa e familiare è diventata obbligatoria per diverse materie, tra cui le liti in materia di condominio, successioni ereditarie, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa. Ma ci sono ancora pochi mediatori riparativi, è in lavoro povero che richiede molte ore di formazione e molta passione. in ambito penale non va confusa la giustizia riparativa con perdono e pentimento. L’obiettivo è il dialogo e il riconoscimento dell'altro, un percorso che attraversa il dolore ed è un vaccino contro il virus dell’odio».
Fondamentale è l’opera educativa. A Marsala se ne ò fatta carico l’esperienza dei “Giisti di Scialia”, fondata nel 2013 nella diocesi di Mazara da Padre Francesco Fiorino che si è trasferita due anni fa in un bene confiscato. «La cui corretta gestione e utilizzo sono il primo messaggio educativo. Qui teniamo diverse esperienze culturali e formative - spiega padre Fiorino- q da noi vengono anche persone a scontare le pene alternative. La Sicilia non è mafiosa, ma è stata la prima a reagire con forza alla mafia. Noi teniamo viva la memoria di chi, famoso o no, si è opposto con la il proprio esempio di vita».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI