martedì 9 luglio 2024
I sindaci: farmacie e medico di base resistono perché ci sono loro. «Ora non si riducano più le quote di ospitalità». Il Censis: la presenza degli stranieri è antidoto al deserto demografico
Una famiglia africana accolta a Montegiordano, Comune calabrese dell’alto Ionio cosentino

Una famiglia africana accolta a Montegiordano, Comune calabrese dell’alto Ionio cosentino - Comune di Montegiordano

COMMENTA E CONDIVIDI

«Auguri di cuore a Chidozie che inizia un nuovo percorso di vita grazie alla ditta edile di Domenico Bavila che lo ha assunto e ha creduto in lui». Sui social il municipio annuncia il contratto di lavoro della prima famiglia che aveva firmato il “patto di accoglienza” nell’ufficio del primo cittadino. Chidozie, la moglie Benedicta e i loro tre figli sono originari della Nigeria. Da marzo dello scorso anno vivono in Calabria, a Montegiordano, Comune dell’alto Ionio cosentino, al confine con la Basilicata. Il territorio che ha aperto le porte ai due coniugi e che loro stanno contribuendo a salvare. «Sì, sono i migranti arrivati fra noi che ci aiutano a combattere la piaga dello spopolamento», racconta il sindaco Rocco Introcaso. «Se la scuola resta aperta - prosegue il sindaco - è anche per merito loro. E se inaugureremo presto un asilo nido, è perché con i figli delle famiglie ospitate abbiamo raggiunto i numeri sufficienti».

Il sindaco di Montegiordano firma il 'patto di accoglienza' con una famiglia di migranti

Il sindaco di Montegiordano firma il "patto di accoglienza" con una famiglia di migranti - Comune di Montegiordano

C’è una Calabria che le statistiche vorrebbero condannata al declino: quella dei piccoli paesi, per lo più nell’entroterra, dove il crollo degli abitanti e l’emigrazione si fanno sempre più marcati e rischiano di portarli verso il baratro del deserto demografico. Ma è la stessa Calabria che sopravvive grazie ai “nuovi” cittadini: siriani o pachistani, egiziani o tunisini, algerini o camerunesi. Comuni considerati in modo sbrigativo “minori” e ritenuti “in stato d’abbandono” che hanno scelto di attirare i migranti, di integrarli, di farne dei residenti a pieno titolo. Come aveva raccontato Antonio Albanese nel film Un mondo a parte dove una scuola in bilico non veniva soppressa per gli alunni con il passaporto estero. Una scuola troppo simile a quelle che gli studenti “rifugiati” tengono in vita nella regione a cavallo fra il Tirreno e lo Ionio. «Ma vale anche per gli esercizi commerciali o i servizi pubblici», aggiunge Anna Italia, ricercatrice del Censis. Cifre alla mano, che ha presentato al convegno sulla Calabria “laboratorio di integrazione” organizzato dall’associazione “Ex consiglieri regionali”, racconta di una terra che ha fatto del fenomeno migratorio non soltanto un’emergenza con gli sbarchi o i naufragi ma anche una risorsa. «Il 53% dei Comuni ha meno di 2mila abitanti - afferma Anna Italia -. Qui vivono 237mila persone. Ma negli ultimi dieci anni la popolazione è diminuita del 12,7%. All’opposto gli stranieri, che sono oltre 10mila, sono aumentati del 23,1%. Tutto ciò dice che già adesso gli stranieri costituiscono un antidoto allo spopolamento. Infatti se nei piccoli centri non ci fossero gli stranieri, la popolazione sarebbe diminuita ancora di più».

I migranti accolti dal Comune di Sant’Alessio in Aspromonte

I migranti accolti dal Comune di Sant’Alessio in Aspromonte - Comune di Sant’Alessio

Ne sono consapevoli gli amministratori locali che hanno scommesso sulla presenza dei migranti. «Presi per mano, seguiti, formati e senza alcun problema di ordine pubblico», tiene a far sapere Rocco Introcaso. E convinti che il loro inserimento rappresenti una delle vie per sottrarre manodopera facile alla criminalità organizzata. Non è un caso che la Calabria sia ai primi posti in Italia per i progetti Sai, i percorsi del Sistema di accoglienza e integrazione finanziato dallo Stato: 114 quelli oggi attivati dai Comuni calabri su un totale nazionale di 882. «Perché siamo così attenti all’altro? Perché il Sud ha la vocazione all’incontro. E non è solo malavita o malasanità», sostiene Stefano Calabrò, intervenuto all’evento degli “Ex consiglieri regionali”. È il coordinatore della commissione per l’immigrazione dell’Anci Calabria ma soprattutto è l’ex sindaco di Sant’Alessio in Aspromonte, uno dei primi Comuni che nella regione ha abbracciato i popoli delle altre sponde del Mediterraneo. Era il 2011 quando sono cominciati gli esperimenti d’accoglienza. Oggi, accanto ai 150 residenti dell’agglomerato a venti chilometri da Reggio Calabria, vive un altro quarto di abitanti fuggiti dalle guerre, dalla miseria, dallo sfruttamento: cinquanta persone in tutto. Comprese tre famiglie ucraine, le ultime giunte, e poco prima quelle afghane. Nessun dormitorio. «Il primo segreto del successo è l’ospitalità diffusa. Una casa per ogni famiglia. Abbiamo censito quelle vuote e le abbiamo risistemate per darle ai nuovi arrivati». Poi l’apprendimento della lingua, l’assistenza legale per regolarizzazione le posizioni, la tutela sanitaria con un’équipe di esperti e mediatori culturali. «E la loro presenza ci ha garantito che rimanessero la farmacia e la bottega ma anche il medico di base», sottolinea Calabrò. Poi cita la storia di Karamo, giovane del Gambia, che a Sant’Alessio è diventato operatore socio-sanitario dopo un corso di formazione sul territorio. Un modello di “buone prassi” che Calabrò ha presentato anche a papa Francesco nel 2016 durante il summit vaticano “Europa: i rifugiati sono nostri fratelli”. Certo, aggiunge l’ex sindaco, «gli ultimi provvedimenti governativi ci stanno mettendo i bastoni fra le ruote. Dal “Decreto sicurezza”, che io chiamo “Decreto insicurezza”, è stata ridotta la soglia d’accoglienza: non più del 10% della popolazione. E per i piccoli Comuni, massimo dieci migranti. Un’assurdità».

I migranti accolti dal Comune di Sant’Alessio in Aspromonte

I migranti accolti dal Comune di Sant’Alessio in Aspromonte - Comune di Sant’Alessio

A Montegiordano, dove restano in 1.500, chi ha radici oltre confine viene accompagnato insieme con il consorzio “Sale della terra” non soltanto a trovare un appartamento e a imparare l’italiano. «L’integrazione passa anche dal lavoro - avverte il sindaco Introcaso -. Perché le famiglie accolte non se ne vadano, apriremo a settembre una cooperativa di comunità su cui l’amministrazione ha investito 100mila euro». E così, ad esempio, i migranti potranno essere impiegati «nella manutenzione o nella pulizia delle strade oppure nell’assistenza degli anziani». Ma l’accoglienza ha bisogno anche di altro: di azioni dal basso, collettive. «Come di un mini torneo di calcio con squadre miste composte da montegiordanesi e immigrati oppure delle feste con i piatti tipici», prosegue il primo cittadino.


«Essenziale è l’incontro con il tessuto sociale», sottolinea Antonino Micari, sindaco di San Roberto nel parco nazionale dell’Aspromonte. Anche lui sa bene come i migranti siano un’opportunità. «In venti anni la popolazione è scesa da 2.300 abitanti ai 1.700 attuali», spiega. Ecco allora i progetti per attrarre quanti approdano in Italia in cerca di una nuova vita. «La nostra gente tocca con mano come non solo contribuiscano alla ripresa sociale ed economica delle nostre realtà ma anche come siano portatori di significative professionalità. È un dovere morale essere un paese accogliente e inclusivo. Come? Facendoci ponte fra la nostra cultura e quelle di chi sceglie di vivere fra noi. L’esperienza ci testimonia che tutto ciò è possibile. Ed è un argine alle tensioni che l’emarginazione e l’esclusione alimentano».



L'ex naufrago Ibra Diallo: grazie alla Chiesa ho ritrovato dignità. Il cardinale Bassetti: le loro storie sono un monito alla politica


La pelle scura esalta il sorriso. E il suo volto sereno racconta di una vita del tutto nuova, lontana dalla miseria e dalle violenze che segnano l’Africa. E anche il suo Paese d’origine: la Guinea. Una vita che Ibra Diallo ha ripreso in mano a Reggio Calabria, la città che gli ha dato una moglie, una ragazza della zona; che gli ha regalato il primo figlio, nato da qualche mese; e soprattutto che lo ha accolto quando è stato salvato dal mare. «Il nostro barcone è naufragato. Sopra eravamo in 112». Per due giorni Ibra è rimasto fra le onde del Mediterraneo. E fra i cadaveri dei compagni di viaggio. «Io ho resistito: ancora non so come. Molti altri non ce l’hanno fatta», aggiunge. Ibra stringe la mano del cardinale Gualtiero Bassetti di fronte all’ingresso di Casa “Farias” che l’ex presidente della Cei visita nelle sue giornate lungo lo Stretto, ospite del convegno sulla Calabria “laboratorio di integrazione” nel Mediterraneo organizzato dall’associazione Ex consiglieri regionali.

il cardinale Gualtiero Bassetti con gli ospiti e gli operatori della Casa per i migranti a Reggio Calabria

il cardinale Gualtiero Bassetti con gli ospiti e gli operatori della Casa per i migranti a Reggio Calabria - Gambassi

La “Casa per la pastorale dei migranti”, spiega una targa accanto al portone. La Casa dell’arcidiocesi di Reggio Calabria-Bova che a Ibra «ha restituito la dignità», dice lui stesso, e per la quale ora lavora come mediatore culturale. Musulmano che abbraccia il cardinale e partecipa alla preghiera della Chiesa che è stata la sua “risurrezione” e che ne ha fatto un nuovo italiano. Perché adesso è l’“angelo dei documenti” per chi è stato migrante come lui: una carta d’identità, un permesso di soggiorno, il passaporto. «Cittadini e non persone di serie B», avverte padre Gabriele Bentoglio, direttore diocesano della Migrantes. Dà il benvenuto a Bassetti fra le camerette nel centro storico che erano l’abitazione di famiglia di don Domenico Farias, “profeta” dell’integrazione morto 22 anni fa. Una palazzina dove chi arriva da clandestino o da salvato in mare viene preso per mano. E trova un letto, la regolarizzazione, il sostegno che gli permette l’ingresso a pieno titolo nella società. «Sei mesi di accompagnamento al termine dei quali chi esce ha un lavoro, un appartamento, i documenti», fa sapere padre Gabriele. Come Bolong, profugo del Gambia, che grazie all’équipe di “Casa Farias” studia informatica all’università dove ha ottenuto la borsa di studio, vive nella casa dello studente e lavora part-time come cameriere.

Ibra Diallo, ex naufrago accolto dalla Chiesa di Reggio Calabria, con il cardinale Gualtiero Bassetti

Ibra Diallo, ex naufrago accolto dalla Chiesa di Reggio Calabria, con il cardinale Gualtiero Bassetti - Gambassi

I 60mila migranti approdati sulle coste di Reggio Calabria dal 2014 al 2021 hanno moltiplicato l’impegno di una diocesi accanto a «chi non dovrebbe mai essere considerato straniero», sottolinea la direttrice della Caritas, Mariangela Ambrogio. Come dicono i numeri del Centro di ascolto “Scalabrini” intitolato al santo degli esuli: oltre 3.700 le persone di 46 nazionalità passate nell’ultimo anno dalla chiesa dei Santi Apostoli Filippo e Giacomo in Sant’Agostino che è stata ribattezzata la parrocchia dei migranti. Una comunità dove la cultura dell’incontro abbatte anche i pregiudizi. «Ammetto che ero un cristiano diffidente» confida Enzo Bagnato, oggi animatore del Centro. «Quando papa Francesco ha indetto il Giubileo della misericordia, mi sono sentito chiamato in causa da quell’opera di misericordia che chiede di “accogliere lo straniero”». Si è presentato nei locali parrocchiali. «E qui visto il Signore nei volti di quanti si presentavano privi di tutto dopo essere stati costretti a lasciare le proprie terre».

La Messa con il cardinale Bassetti per i volontari del Coordinamento ecclesiale sbarchi e dell’Help center della Caritas di Reggio Calabria

La Messa con il cardinale Bassetti per i volontari del Coordinamento ecclesiale sbarchi e dell’Help center della Caritas di Reggio Calabria - Gambassi

«La nostra è la religione del fratello. Chi accoglie un migrante, accoglie Cristo; chi lo rifiuta, rifiuta Cristo», riflette Bassetti nella Messa all’aperto di fronte all’Help center della Caritas all’ingresso della stazione ferroviaria. Davanti ha i volontari del presidio lungo i binari e del Coordinamento ecclesiale sbarchi. Un’esperienza che «ha innescato un movimento di coscienza collettiva e ha contribuito a rendere più umana l’accoglienza», ripercorre l’arcivescovo Fortunato Morrone. Studenti, padri e madri di famiglia, pensionati si presentano al porto quando i «fratelli delle altre sponde del grande mare arrivano», racconta Bruna Mangiola, una delle menti del Coordinamento. Portano cibo, abiti, scarpe. «Ma abbiamo aperto anche i sacchi con i cadaveri ripescati in mare per farli riconoscere ai parenti», aggiunge. E cita quella “V” che una donna africana le faceva con le dita. «Pensavo significasse “Vittoria”, finalmente a terra. Invece diceva che fra i morti c’erano i suoi due figli».

La preghiera del cardinale Bassetti nel cimitero di Armo dove è stato creato il memoriale delle vittime del mare

La preghiera del cardinale Bassetti nel cimitero di Armo dove è stato creato il memoriale delle vittime del mare - Gambassi

Il cardinale Bassetti riceve il frammento di un gommone inabissato. A donarglielo Francesco Creazzo, portavoce italiano di Sos Mediterranée, la Ong che con la nave Ocean Viking ha salvato 40mila naufraghi. «In mare pochi millimetri di plastica separano la vita e la morte - afferma Creazzo -. Se non si giunge a destinazione da soli, o si viene recuperati o si muore: non c’è spazio per timidezze o calcoli politici». «Come cristiano, sacerdote e vescovo - risponde il cardinale - sono vicino a quanti soccorrono i migranti. E vorrei prestare le mie deboli mani di pastore di 82 anni per salvarli con loro». Poi Bassetti sale fin sulle colline sopra Reggio per entrare nel cimitero di Armo dove è stato creato il memoriale delle vittime del mare. “Ignoto” si legge in alcune delle 147 tombe. In altre lapidi sono incisi i nomi di donne, uomini, bambini che il mare e l’indifferenza hanno ucciso. «Ognuno di loro è un richiamo all’accoglienza - avverte il cardinale -. Ed è un monito alla politica perché questi scempi non si ripetano mai più».




© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: