martedì 9 aprile 2024
Alle 15 il presidio dei collettivi alla Farnesina, domani la decisione sul bando Maeci. Di Segni (Ucei): fermare gli accordi tra gli atenei è assurdo. I giovani ebrei: garantire sicurezza nelle aule
Il rettorato dell'Università di Napoli occupato ieri per protesta contro Israele

Il rettorato dell'Università di Napoli occupato ieri per protesta contro Israele - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

L’occupazione del rettorato dell’Università Federico II di Napoli ha aperto ieri la tre giorni di mobilitazione dei collettivi studenteschi in vista del rinnovo del bando Maeci Italia-Israele. La data del 10 aprile è segnata da tempo sul calendario della galassia universitaria composta da allievi, docenti e ricercatori che da settimane ha avviato il boicottaggio degli accordi con gli atenei israeliani. Sul tavolo, c’è il rinnovo del patto, che andrà sottoscritto al ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, che prevede «la presentazione di progetti congiunti di ricerca italo-israeliani» in aree scientifiche legate alle tecnologie per la coltivazione della terra, alla desalinizzazione delle acque, allo studio di tecnologie elettroniche e quantistiche. Ad opporsi sono oltre 2mila persone appartenenti a diverse università del nostro Paese che hanno lanciato, oggi alle 15, un presidio davanti alla Farnesina, dove saranno presenti anche i collettivi della Sapienza.

Il richiamo degli studenti di Napoli è stato ad analoghe «azioni forti» già avvenute a Roma, Torino e Bologna. «I luoghi del sapere vengono militarizzati» è l’accusa. Il collettivo “Cambiare Rotta” ha parlato di «provocazione» in riferimento a «un nuovo bando di cooperazione con il governo sionista di Israele. Non ci stiamo più ad essere complici di guerra e genocidio». Allo sciopero aderirà anche il sindacato Usb, mentre iniziative in contemporanea sono attese in diversi atenei, da Bari alla Capitale. Nelle scorse settimane l'Università di Torino si è rifiutata di partecipare al bando di cooperazione scientifica, tecnologica e industriale con Israele e il rettore dell'Università del capoluogo pugliese si è dimesso dalla Fondazione Med-Or. Anche la Normale di Pisa ha annunciato che non parteciperà al bando, mentre ieri è stato pubblicato un documento di 25 tra dottorandi e assegnisti di ricerca che ha chiesto di fermare le collaborazioni riguardanti «lo sviluppo di tecnologie dual use, ovvero applicabili in ambito militare». Sit-in di protesta ci sono stati e sono attesi in questi giorni anche a Bologna, Trieste, Padova, Milano, Torino e Venezia.

All’intensificarsi delle proteste (va detto, di una grande minoranza dentro gli atenei) prova a rispondere il mondo politico. «Il diritto di parola non può essere negato a nessuno con la violenza» ha ribadito ieri il presidente del Senato, Ignazio La Russa. Netta la reazione della comunità ebraica. Per Noemi Di Segni, presidente dell'Ucei, il boicottaggio degli atenei è «la cosa più assurda che abbiamo sentito pretendere, chiedere, purtroppo accordare in queste settimane: è esattamente quello che non favorisce dialogo, pace, sapere e approfondimento, che sia verso le università israeliane, i singoli docenti, o anche soggetti di religione ebraica". Domenica, a Milano, l’Unione dei giovani ebrei italiani aveva ricordato che è «in corso una battaglia di democrazia e diritti civili, che ha luogo nelle aule e nelle strade quando dobbiamo nascondere le nostre abitudini, rivedere le nostre amicizie e quando non ci sentiamo sicuri all’interno delle nostre università».

Riferendosi alle posizioni assunte dal fronte anti-Israele, il filosofo Davide Assael sintetizza così. «Poiché oggi non ci si può più dire antisemiti, allora ci si definisce antisionisti», ma la sostanza rischia di essere la stessa. Assael da anni dentro la comunità ebraica si è fatto promotore del dialogo con le altre religioni e le altre culture. «Un conto è la critica politica e anche militare rispetto all’azione di guerra condotta a Gaza dal governo Netanyahu - aggiunge -, del tutto legittima e per quanto mi riguarda condivisibile, un altro è la richiesta rivolta al popolo ebraico di abbandonare i propri elementi identitari».
Non aiuta, in questo senso, la mole continua di appelli e contro-appelli firmati da personalità pubbliche, a partire dalle tante piattaforme online.Agli occhi del filosofo ebreo che spesso collabora con la Comunità di Sant’Egidio a Milano, conta di più il fatto che «il mondo universitario è davvero la coscienza critica di Israele. L’esecutivo attualmente al potere a Tel Aviv ha più volte minacciato il taglio ai finanziamenti degli atenei e questo segnale non può essere sottovalutato».

Semmai, tutta la storia dei boicottaggi annunciati e messi in atto nelle scorse settimane dimostra «quanto l’Occidente non abbia ancora fatto i conti con la questione ebraica dopo la Shoah. Nella protesta cui stiamo assistendo - spiega Assael - agli stereotipi antichissimi sugli ebrei vendicativi e spietati, e sulle loro lobby, va aggiunto un fatto nuovo, di tipo sociale. C’è un nuovo clima culturale che ha unito generazioni diverse, quella terzomondista e anti-imperialista dei professori e quella del mondo woke che dagli Usa è arrivato in Europa, seducendo gli studenti dei collettivi. Questo collante generazionale è una novità un po’ per tutti».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: