Bigenitorialità, la Cassazione e i dubbi sul ddl Pillon
giovedì 13 dicembre 2018

Si è parlato molto, negli ultimi mesi, di bigenitorialità perfetta, definizione che, a una prima impressione, suscita immediato consenso. E chi potrebbe essere in disaccordo? In realtà in Senato si sta discutendo un disegno di legge che interpreta la definizione in maniera assai diversa, anzi, la applica a una situazione quasi opposta. Il disegno di legge Pillon sulla bigenitorialità e l’affido condiviso spacca a metà la responsabilità genitoriale nel caso di separazione non consensuale dei coniugi.

Il bimbo dovrebbe passare metà tempo con la mamma e metà con il papà, cambiando ogni 15 giorni la propria casa, le abitudini, le persone a cui fa riferimento. Tutto questo presuppone un’assoluta parità e intercambiabilità dei ruoli: quello che fa la madre lo può fare il padre e viceversa. Essere genitori, in questo modo, non è più un impegno condiviso, ma una responsabilità individuale, gestita in assoluta autonomia dal singolo.

La Cassazione, però, ha emanato, il 10 dicembre scorso, una sentenza che contesta implicitamente i presupposti del ddl Pillon. Il caso riguarda una coppia separata lacerata da una fortissima conflittualità, tanto da aver richiesto il coinvolgimento dei servizi sociali. Il padre fa ricorso contro l’affidamento in via prevalente alla madre, chiedendo di passare con la piccola lo stesso numero di giorni della ex moglie, ma la Corte respinge la richiesta, con queste motivazioni: «Va ricordato che il principio di bigenitorialità si traduce nel diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio nel reciproco interesse, ma ciò non comporta l’applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore, in quanto l’esercizio del diritto deve essere armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio e dell’altro genitore».

Semplice buonsenso, quello della Corte. È evidente che il benessere del bimbo dovrebbe essere anteposto a tutto, e che essere un bravo papà, una brava mamma, non si può calcolare solo in termini di tempo. Il ruolo materno e quello paterno sono complementari, non equivalenti, e non sempre l’uno può sostituire l’altra: tempi rigidamente uguali rispondono al bisogno del genitore di affermare i propri diritti in un conflitto, non certamente alle esigenze del figlio.

Nelle separazioni, che producono sempre lacerazioni e problemi, il legislatore dovrebbe cercare di favorire un civile rapporto tra gli ex coniugi, non di approfondire la divisione e la distanza. Come ricorda una precedente sentenza della Cassazione, il rispetto del principio della bigenitorialità parte dal 'dovere dei genitori di cooperare' per il bene del figlio.

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