Un momento della serata di Bibione con Nespoli (primo da sinistra) - .
«Le stelle cadenti? Voi dalla Terra le vedete alzando gli occhi al cielo, noi sulla Stazione Spaziale Internazionale le vediamo passare sotto di noi». È un continuo colpo di scena ascoltare l’astronauta Paolo Nespoli, noto nel mondo come AstroPaolo, uno degli esseri umani che è vissuto più a lungo nello spazio e ha raggiunto vertiginose distanze dal pianeta in cui viviamo. Ed è stato proprio Nespoli il 10 luglio il protagonista della XVIII Festa di Avvenire e de Il Popolo organizzata a Bibione, frazione di San Michele al Tagliamento (Venezia), dalla diocesi di Concordia-Pordenone, dal titolo (poetico e scientifico insieme) “Cielo e mare: vi illumino l’immenso”. Due gli incontri dell’astronauta: nel pomeriggio con oltre un centinaio di bambini del grest, che si erano preventivamente informati sulle pagine di Popotus e a Nespoli hanno chiesto curiosità sulla vita da “extraterrestre”, e la sera nel parco della parrocchia di Santa Maria Assunta, dove AstroPaolo ha contagiato il foltissimo pubblico con lo stesso senso di meraviglia provato dai più piccoli. Già, perché a ben pochi esseri umani è dato il privilegio di viaggiare “dentro” l’immenso, di percorrerlo – come avviene sulla Stazione Spaziale Internazionale – a 28mila chilometri orari e a 400mila metri di altitudine, guardando il pianeta da lontano in tutta la sua bellezza e fragilità, scoprendo con una sola occhiata che «non esistono muri: l’unico muro è l’atmosfera che circonda la Terra, una magnifica pelle senza la quale moriremmo in un istante», ha spiegato Nespoli, mostrando i video girati dalla cupola che si affaccia a 360 gradi sul cosmo. «L’atmosfera è come un organismo vivente, un polmone che respira, in estate si espande e in inverno si contrae. Dovremmo proteggerla e amarla, invece non capiamo quanto sia importante».
Nespoli intervistato dall'inviata di Avvenire, Lucia Bellaspiga - .
AstroPaolo ha raccontato le mille curiosità di una vita per noi eccezionale, per lui «normale, perché siamo addestrati per comportamenti extra-terrestri», non nel senso comune della parola (alieni) ma strettamente tecnica, ovvero «come agire all’interno di una navicella che viaggia al di fuori dell’atmosfera in caduta libera: si precipita di continuo verso il centro della Terra e per questo noi all’interno galleggiamo, sembriamo volare, ma in realtà stiamo cadendo insieme all’intera Stazione. E così ogni altro oggetto: versi il caffè e non cade nella tazza come avviene sulla Terra ma resta in aria, o se ti appisoli senza ancorarti ti svegli a testa in giù contro il soffitto. Ricordo i primi giorni, quando non ero ancora abituato e per raggiungere uno scaffale molto alto chiesi dove fosse una scala, in realtà basta dare una leggerissima spinta con il mignolo e sei subito lassù…».
Ma dagli aneddoti ai grandi temi esistenziali il passo è breve. Per chi il pianeta lo vede da lontano, tutto diventa lampante, anche i deliri umani, «pensare che intanto laggiù gli uomini si uccidono per una striscia di terra è ancora più assurdo…». E in una vita “galleggiante”, dove il corpo praticamente non esiste («lassù non ci appoggiamo mai su una sedia, i piedi non toccano mai terra, insomma, il corpo non lo sentiamo proprio»), l’unica valenza che ci determina è «la coscienza, o l’anima, chiamatela come volete. Lassù per sei mesi consecutivi ho sentito solo la parte metafisica di me. E allora ti poni tanti quesiti. Anche se noi astronauti siamo persone addestrate solo per affinare le capacità tecniche, certe domande non puoi non fartele». Come quelle che Francesco nel 2017 in collegamento rivolse proprio a Nespoli, il quale le rilanciò al Papa: «Santo Padre, venga con noi quassù e ce le spieghi lei queste cose: noi qui capiamo solo che c’è tanto da capire!».
Nella stra-ordinaria prospettiva di Nespoli, dove nulla è scontato, un guasto alla navicella non sarebbe stato una tragedia ma un desiderio, «sarebbe stata l’unica occasione per costringermi a uscire all’esterno e fare una passeggiata spaziale, ma purtroppo è sempre andato tutto liscio», ha sorriso. E soprattutto ai bambini, numerosi all’appuntamento serale, ha lanciato un messaggio, provato sulla propria pelle: «Abbiate un sogno, ma che sia impossibile, altrimenti non sarebbe un sogno: probabilmente non si realizzerà, ma uno su un milione ci riesce e potreste essere voi». Esattamente ciò che accadde a lui, anche se non era più un bambino e aveva già 27 anni quando si licenziò da un posto sicuro e iniziò da zero a diventare astronauta. «Più impossibile di così… Ero ben avviato nella carriera militare, incursore e paracadutista, mi trovavo in missione di pace in Libano quando la giornalista Oriana Fallaci mi chiese cosa volessi fare da grande. Le risposi che ero già grande e che la mia carriera era solida, ma lei insistette per capire quale fosse il mio vero sogno da bambino. Nel 1969 avevo visto l’allunaggio di Neil Armstrong e avevo pensato che era ciò che desideravo anche per me, poi, come tutti, avevo messo via le mie fantasie». Oriana Fallaci gli obiettò che il modo migliore per far naufragare un sogno è rinunciare. Un tarlo che lo portò a informarsi: per fare l’astronauta occorreva una laurea tecnica e un inglese perfetto. «Non avevo nessuno dei due… Così lasciai l’esercito e mi iscrissi a ingegneria aerospaziale negli Stati Uniti: due obiettivi in un colpo». Nessuno ci avrebbe creduto, lui sì e il fatto incredibile è che c’è anche riuscito, scelto dalle agenzie spaziali italiana ed europea tra migliaia di aspiranti per andare nello spazio, «unico extracomunitario tra americani e russi», ha scherzato. «Tra l’altro mentre sulla Terra russi e americani si guardano non proprio amichevolmente, nello spazio i muri e le differenze si dissolvono».
«Spesso noi vediamo le missioni spaziali come una competizione tra nazioni, invece Paolo ci ha fatto comprendere che sono altissimi esempi di collaborazione tra i popoli e le comunità scientifiche – ha commentato nel finale il vescovo di Concordia-Pordenone Giuseppe Pellegrini –, impegnate a sperimentare nuove conoscenze per rendere migliore la nostra vita. E questo è un messaggio anche per noi, per dire che allontanarci a volte da terra e guardare verso il cielo ci dà una prospettiva migliore». «Siamo varie centinaia qui ad ascoltare Nespoli sotto il nuovo campanile inaugurato un mese fa», ha ricordato il parroco don Enrico Facca, «un invito ad alzare lo sguardo»: alto 31 metri, tutto di vetrate illuminate nella notte, sembrava una rampa di lancio proiettata verso il cielo. «Nespoli questa sera ci ha stupito, ci ha fatto conoscere una nuova dimensione, talmente misteriosa che a volte ci impaurisce un po’, ma lui ce l’ha resa più familiare – ha detto il sindaco di San Michele al Tagliamento, Flavio Maurutto –. Interessante anche l’esperienza del pomeriggio per avvicinare i bambini alla scienza: il mio grazie ad Avvenire e a Il Popolo che ogni anno offrono queste possibilità alla comunità di Bibione e ci regalano bellezza». Le tre parole chiave della testimonianza di Nespoli le ha riassunte Simonetta Venturin, direttrice del settimanale diocesano: «Il sogno: la strada per raggiungerlo è fatta di fatica e di impegno, 15 anni ci ha messo Nespoli. Generosità: quando torna sulla Terra Paolo per prima cosa si chiede se si è comportato bene per sé e per gli altri che erano con lui… Questa sera ha ricordato più volte che gli astronauti non partono per se stessi ma nello spazio fanno esperimenti per il progresso dell’umanità, e aggiungo che rischiano la vita. Il talento: come il sogno, non va chiuso nel cassetto, seguiamo il nostro e facciamolo crescere».
Il pubblico accorso alla serata - .
«La vita straordinaria di Nespoli ci ricorda che straordinaria è la vita di ciascuno di noi con la sua capacità di de/siderare, che poi significa proprio guardare le stelle come riferimento – ha commentato infine il direttore di Avvenire, Marco Girardo –. Una serata riuscita come questa non è realizzabile senza un lavoro di squadra, come avviene per l’equipaggio sulla Stazione Spaziale, si lavora bene se si lavora insieme, Paolo ce l’ha ben dimostrato. Come ci ha dimostrato che le stelle cadenti le puoi vedere sotto di te anziché al di sopra, ovvero dobbiamo saper modificare le nostre prospettive e i punti di vista, non irrigidirci nelle nostre posizioni. Ciò non significa cadere nel relativismo, perché lo stesso devono fare le persone accanto a noi. Sono tante le suggestioni, ma la cosa più bella che mi porto a casa questa sera è di essere stato interrotto nel mio discorso dal passaggio della Stazione Spaziale Internazionale proprio sopra le nostre teste…».
È successo davvero: silenziosa, bianca, luminosa, è passata sopra di noi nell’ultimo minuto della serata. L’ha avvistata nel cielo di Bibione il pubblico e Nespoli ha controllato in diretta la rotta e l’orario, «è proprio lei», ha confermato, «sembra che ci siamo dati appuntamento per concludere nel modo più magico». Chissà se in quel preciso momento qualcuno dei suoi colleghi era affacciato alla cupola, lo sguardo su di noi che guardavamo in su.