Silvio Berlusconi con il figlio Piersilvio in una foto del 1988 - Fotogramma
Era un pomeriggio di settembre 2010. Col cielo pulito e il sole che scalda Roma. Silvio Berlusconi, pantaloni sportivi e camicia blu, era tra i giovani di destra arrivati alla festa di Atreju. Si muoveva sul palco come un attore consumato. Adorava sedurre, il Cavaliere. «Ragazze, sono simpatico, ho un po’ di grana e la leggenda dice che ci so anche fare...». Era un pezzo di un repertorio collaudato. Giorgia Meloni, allora semplice padrona di casa, guardava imbarazzata, a tratti infastidita. Poi, all’improvviso il copione cambiò. Fu una domanda a imporre la virata: presidente, che cosa consiglierebbe a un giovane che vuole diventare ricco? Berlusconi guardò quel ragazzo e sembrò felice di essere trascinato, anche solo per il tempo di una risposta, alla sua prima vita: «Andate all’estero. Entrare nei grandi centri commerciali. Guardate i prodotti e cercate di capire che cosa non c’è in Italia. A quel punto il gioco è fatto: portate qui quello che non c’è».
Qualche anno dopo, mentre leggevamo un’intervista a Fedele Confalonieri, ripensammo a quei ragazzi seduti davanti al Cavaliere. Ai loro sogni. Forse gli stessi del giovane Berlusconi. «Silvio aveva un vulcano nel cervello. Era un venditore insuperabile. Agli amici appioppava spazzole elettriche e phon. Poi ha cominciato a pensare in grande: al posto degli elettrodomestici voleva vendere case...», erano le parole dell’amico di una vita.
Berlusconi è partito (nella versione ufficiale) con i 30 milioni di lire della liquidazione del papà Luigi. Il primo appartamento che riuscì a vendere lo comprò proprio la mamma di Confalonieri: via Alciati, periferia est di Milano. Passò poco e Berlusconi prese il volo. Nella seconda metà degli anni Sessanta il Cavaliere ha nella testa un sogno: Milano2. «È la città del futuro, qualcosa che l’Italia non ha mai avuto». Pochi mesi e 712mila metri quadrati di case, alberi e negozi affioreranno dal nulla. Il sogno diventa vero. «Perché – racconta ancora Confalonieri – Silvio è un visionario del fare. Immagina città, immagina televisione, immagina politica e le “fabbrica” così bene con le parole che poi le vedi anche tu». Quell’avventura porta nelle casse del Cavaliere un utile di 35 miliardi delle vecchie lire.
Silvio lavora anche 14 ore al giorno. Dorme zero. Non si ferma mai. Il pomeriggio dell’11 febbraio 1986, dopo una trattativa interminabile, compra il Milan. Nella stessa sera è a Parigi per l’inaugurazione del “Gran Galà” de La Cinq, la sua tv francese. È lui a curare l’evento nei minimi dettagli. È lui a coinvolgere “pesi massimi” come Alain Delon, Charles Aznavour e Catherine Deneuve. La prima vita è nelle case, la seconda è nella tv. Berlusconi segue i programmi. Controlla ogni dettaglio: disegna le scenografie degli studi, cambia le cravatte ai giornalisti, gli occhiali a Mike Bongiorno. Gli amici di allora lo ricordano attento persino alle scollature delle annunciatrici. Nell’aprile ‘88 rileva anche il 70% dei supermercati Standa.
Tv e case non bastano più. Servono nuove sfide. Berlusconi, quando racconta il suo ingresso in politica, parla sempre di «discesa in campo». La terza vita del Cavaliere comincia il 26 gennaio 1994 con un messaggio televisivo pre-registrato inviato a tutti i Tg delle reti televisive nazionali. Nove minuti che avrebbero cambiato la storia dell’Italia. Tutto è studiato nei minimi dettagli. Ogni parola. Ogni pausa. «... L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare...».
Servirebbe un libro per raccontare i mesi che precedettero la “discesa in campo”. Le notti senza sonno per cercare la strada. Le frenate di Gianni Letta e di Confalonieri, spesso affiancati da Indro Montanelli (all’epoca direttore del Giornale) e da Maurizio Costanzo. E le accelerazioni di Marcello Dell’Utri e di Ennio Doris. Era un periodo complicato. Già nel 1992 e nel 1993 la Fininvest, come tutte le altre grandi aziende nazionali, fu oggetto di indagini da parte del pool di Mani pulite e delle Procure di Torino e Roma. Bettino Craxi, il politico amico senza più forza, non ci credeva: Silvio, non andrai oltre il 6 per cento. Berlusconi leggeva “Le memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar e insieme studiava i discorsi di Ronald Reagan. Li sottolineava con grande interesse e spiegava: «Reagan è diventato il presidente degli Stati Uniti arrivando dallo spettacolo. Gli americani lo conoscevano già e lui parlava al Paese, cioè a quel ceto medio che in America come in Italia è sempre stato sottovalutato». Aveva ragione Berlusconi. Forza Italia trionfa, il centrodestra vince. Inizia quella che Berlusconi nei momenti di esaltazione chiamava la «cavalcata nella storia».