Ferito nell’orgoglio, colpito mortalmente da quanti fino a qualche giorno fa cosiderava il suo giro di amiche e amici, insultato ed esposto con il suo "privato" portato, attraverso le intercettazioni, alla mercè di tutti gli italiani e non solo, Silvio Berlusconi accoglie il vertice del Pdl come il paziente i medici al capezzale. E anche se la malattia è grave – anzi, per dirla con Bossi, le cose si complicano con questi «pasticci» – il premier non si arrende. Con il gotha del partitio studia le prossime mosse, sposta i riflettori ancora una volta sull’ex alleato Gianfranco Fini e sulla vicenda della casa di Montecarlo e disegna la strategia di difesa, iniziando con il Copasir, dove i suoi respingono le carte al mittente. Il capo del governo ha al suo fianco i suoi avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo che lo rassicurano.Così, di fronte ai tre coordinatori Verdini, Bondi e La Russa, ai capigruppo Gasparri e Cicchitto, al guardasigilli Alfano e ai sottosegretari Letta e Bonaiuti, il presidente del Consiglio ripete che nelle carte vecchie e nuove non ci sono ipotesi di reato: «Io – assicura – sono tranquillo, anche se in 600 pagine non c’è altro obiettivo che quello di infangare il mio nome». Il vero processo, dice pensando alla trasmissione di Santoro che andrà in onda di lì a poco, «è quello televisivo».Piuttosto il premier sa che deve uscire dal fango che lo sta sommergendo e per farlo chiede a tutti di puntare su Fini. Sarà lui a dover affondare. Nel frattempo, è certo, passerà anche questa buriana e il governo potrà andare avanti. Perché, dice, «il Paese ha bisogno di stabilità» e il voto non rientra nei piani del Cavaliere. Tanto più che il suo fedele alleato Bossi non lo rinnegherà. «Mollare Berlusconi per il federalismo? Io son tutto tranne che un imbroglione. Nemmeno con le donne...», scherza il leader della Lega. Che ammette quanto il caso Ruby sia «un un pasticcio che complica le cose».E allora il vertice a Palazzo Grazioli diventa una sorta di "consiglio di guerra", come lo definiscono alcuni dei partecipanti. Con il premier che parla del nostro come di uno «Stato di polizia». Contro Fini, dice il premier ai suoi, non si tratta di accertare una verità giudiziaria che compete solo alla magistratura, ma di dar seguito ad una promessa fatta pubblicamente dallo stesso Fini, quella di dimettersi. Il pressing deve farsi pesantissimo, spiega il Cavaliere ai suoi. «Dica Fini se intende tenere fede alla sua promessa di dimissioni: la casa è del cognato. La prova ora c’è», concorda il vertice del Pdl.Ma se a caldo le due priorità sembrano la risposta al Copasir e quella al presidente della Camera, i suoi collaboratori iniziano a disegnare lo scenario di lavoro immediato. L’idea è quella di riprendere il processo breve che ha avuto il via libera del Senato e poi è finito in un binario morto a Montecitorio, dopo il no dei finiani. Altra mossa destinata più che ad accendere una miccia, a scatenare un incendio, è il tentativo di limitare, attraverso un provvedimento legislativo, i poteri dei pm "politicizzati". Si pensa tra l’altro ad una legge ad hoc, per mettere un freno all’abuso delle intercettazioni. Lo sfogo dei giorni scorsi contro i magistrati non deve restare lettera morta, dice il premier. Si punta, dunque, a provvedimenti sulla giustizia.Il premier, insomma, non si arrende. Promette tra l’altro di avere un asso nella manica da calare al momento opportuno. Secondo quanto si apprende da indiscrezioni di casa pdl, si starebbe studiando una sorta di dossier per rispondere punto per punto alle accuse dei pm milanesi. Il presidente del Consiglio avrebbe convocato un nuovo vertice per martedì prossimo, sempre in via del Plebiscito. Mentre sembra certa la manifestazione del 13 febbraio in diverse piazze d’Italia, con tanto di collegamento da maxischermo del capo del governo, per una mobilitazione del "popolo" di centrodestra, in risposta a chi è certo che l’intera vicenda abbia segnato la rottura del rapporto tra il premier e i suoi elettori.