martedì 15 marzo 2011
Il bilancio del Mibac evidenziava a fine anno una «disponibilità finanziaria pari a 545 milioni di euro corrispondente al 55% del totale generale delle entrate» affluite. La metà dei fondi per il 2010 è rimasta in cassa. Si dimette Carandini.
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Sostenere che si sarebbero potuti salvare gli antichi muri di Pompei forse sarebbe azzardato, e anche un po’ demagogico. Ma non si andrebbe troppo lontano dal vero. Di certo ci sono molti progetti che si sarebbero potuti portare a termine tra manutenzioni straordinarie, nuove tutele e valorizzazioni di siti, se solo ci fossero stato i soldi per finanziarli. O meglio: se solo il ministero dei Beni e delle Attività culturali (Mibac) fosse stato capace di spenderli, i soldi. Perché – ecco la notizia – in realtà i fondi c’erano e ci sono, ma il ministero non riesce a spenderli: oltre la metà delle sue disponibilità, infatti, resta in cassa incagliato nelle pastoie burocratiche, bloccato nei cassetti degli uffici, perso nei meandri di via del Collegio Romano a Roma.La prova è in una circolare (la n.36 del 4 febbraio 2011) firmata dal direttore generale del ministero, Mario Guarany, nella quale si dà conto del «monitoraggio delle contabilità speciali e dei conti di tesoreria unica al 31 dicembre 2010», che Avvenire ha "intercettato". Ebbene, alla fine dello scorso anno, il bilancio evidenziava una «disponibilità finanziaria pari a 545.231.631,09 euro corrispondente al 55% del totale generale delle entrate ammontanti a 991.297.847,23 euro comprensive del debito trasportato al 1 gennaio 2010 (...) e delle entrate affluite nei mesi di gennaio-dicembre (...)». Tradotto, significa che nel 2010 – l’annus horribilis dei tagli alla cultura, quello nel quale la scure severa del ministro dell’Economia Giulio Tremonti si è abbattuta sui fondi destinati alla cultura italiana – il ministero non ha utilizzato oltre la metà dei soldi a sua disposizione, lasciando in cassa qualcosa più di mezzo miliardo di euro. Nella circolare si evidenziano con precisione e largo utilizzo di grafici le diverse voci di spesa e le percentuali di utilizzo dei fondi da parte degli «istituti periferici» e divisioni varie. Si va dal 37% dei «Beni archeologici e paesaggio» al 69% delle «Soprintendenze», passando per il 39% delle «Direzioni regionali» e il 50% degli «Archivi».A Pompei «avanzati» 29 milioniAppare ancora peggiore il quadro dell’utilizzo delle entrate esaminando i «Conti di tesoreria unica» (si veda la tabella in pagina) nei quali tolto l’exploit del «Polo museale napoletano», per il quale sono stati usati quasi il 90% dei fondi a disposizione, il resto delle percentuali di utilizzo è sconfortante. Si va dal 13% dell’«Opificio delle pietre dure di Firenze» al 19% della sovrintendenza «Archeologica di Roma»; dal 21% dell’«Archivio centrale dello Stato» al 29% della «Biblioteca nazionale di Firenze». Fino ad arrivare – e parliamo del caso che ha occupato le prime pagine dei giornali di tutto il mondo appena qualche mese fa – proprio alla soprintendenza speciale dei «Beni archeologici di Napoli e Pompei» per la quale erano disponibili nel 2010 entrate pari a 50 milioni di euro e ne sono stati spesi poco più di 21 milioni, pari al 42% circa. Con un residuo ancora in cassa, quindi, di quasi 29 milioni di euro. Abbastanza per salvare i muri della «Casa del moralista» di Pompei crollati nel novembre scorso? Probabilmente sì, anche se non lo sapremo mai con certezza.Questione amministrativaMa come è possibile che i soldi non vengano spesi, quando un giorno sì e l’altro pure vengono chieste (e ultimamente anche offerte) le dimissioni del ministro Bondi? Mentre si susseguono le proteste nel mondo della cultura per i tagli alle risorse? Tagli che hanno portato proprio ieri alle dimissioni di Andrea Carandini dalla carica di presidente del Consiglio superiore per i beni culturali (si veda l’articolo sotto). La questione in realtà è assai poco politica e molto amministrativa, nel senso che – una volta separata la funzione di indirizzo da quella di gestione, come hanno previsto le normative in materia introdotte negli anni Novanta – sono i dirigenti del dicastero, e non il ministro o i sottosegretari, ad essere direttamente responsabili dei flussi di cassa e degli impegni di spesa. E, all’interno del già complesso bilancio del Mibac, negli anni hanno finito per proliferare le cosiddette «contabilità speciali». Attualmente sono oltre 300, nelle quali confluiscono gli impegni "propri" derivanti da contratti e quelli diciamo "impropri" basati su accordi non ancora adeguatamente formalizzati. Completano il quadro procedure d’asta antiquate, progettazioni e gare senza capitolati dettagliati e altre farraginosità sulle quali da tempo un comitato scientifico è stato incaricato di proporre iniziative di riforma. Incombe infatti la nuova legge di contabilità e finanza pubblica (la 196 del 31/12/2009) che prevede il «definanziamento delle leggi di spesa totalmente non utilizzate negli ultimi tre anni».«Cerchiamo di spendere qualcosa in più»Sarà anche per questo che la circolare del direttore generale del ministero si chiude con una raccomandazione. «Considerata la diversa capacità di spesa (...) si richiama l’attenzione dei Funzionari Delegati, che la direttiva generale prevede un obiettivo strategico di "miglioramento dell’efficienza nell’utilizzo delle risorse disponibili" con declinazione nell’obiettivo operativo di "Massimizzazione dell’utilizzo delle risorse disponibili", da attuare mediante l’incremento delle uscite, nel corso dell’esercizio 2011, per almeno il 5% rispetto al 2010». Insomma, dice la circolare, "cari dirigenti del ministero cerchiamo per l’anno prossimo di arrivare a spendere almeno il 48-50% dei fondi a disposizione". Un obiettivo alto, uno sforzo titanico. Anche perché, in caso contrario, non scatteranno i bonus previsti in busta paga. Con buona pace del Moralista di Pompei.Post scriptum: Nei giorni scorsi abbiamo provato a contattare sia il direttore generale del ministero sia l’ufficio stampa per avere commenti in merito, ma nessuno ha risposto alle nostre sollecitazioni.
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