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Non c’è nessun mistero sulla posizione della premier Giorgia Meloni: un prelievo sugli extraprofitti dal suo punto di vista è più che legittimo, le sue idee le ha espresse già l’anno scorso quando in manovra fu messa nera su bianco la prima ipotesi, poi stravolta e sterilizzata per accogliere le riserve di Forza Italia, le proteste degli istituti di credito, le preoccupazioni della Bce e, allora come oggi, per placare le risposte negative dei mercati.
La nota informale di ieri di Palazzo Chigi, dunque, più che una smentita va considerata uno “stop al televoto”. L'esecutivo, si fa sapere, «al momento non è al lavoro per sondare la possibilità di mettere in campo una nuova norma per la tassazione degli extraprofitti di diversi settori produttivi, dalle banche al comparto energetico a quello assicurativo».
«Al momento». E in effetti la tempistica non è stata molto felice. All’inizio di agosto, in piena volatilità dei mercati, quando anche piccole oscillazioni possono causare crolli. Ma di questo Palazzo Chigi non può incolpare nessuno, perché le voci di un intervento del governo sugli extraprofitti sono nate dal cuore del governo, non dall’esterno e non da “nemici”.
Occorreva sedare una polemica e lanciare un messaggio alle Borse all’inizio di un mese in cui si annunciano turbolenze politiche, con Forza Italia e Lega in assetto da battaglia.
Sugli extraprofitti, si sa, a presidio delle ragioni degli istituti di credito c’è Forza Italia. Non appena le “voci” hanno superato il livello di guardia, tutto lo stato maggiore azzurro è intervenuto con un solo messaggio: occorre «smentire» le ipotesi che stanno circolando prima che diventino ancora più corpose. Parlano Barelli e Gasparri, presidenti rispettivamente dei deputati e dei senatori. Come a dire: in Parlamento non passerebbe.
Parole che, insieme alle sedute negative di Piazza Affari, convincono Palazzo Chigi a metterci una pezza. Anche se in realtà quelle che sono circolate sono ben più di ipotesi. Intanto il perimetro largo dell’intervento, che riguarderebbe non solo le banche ma anche le società energetiche, assicurative e del lusso. E poi il tipo di misura, non tanto una tassa quanto una sorta di «contributo di solidarietà» una tantum, che l’esecutivo chiederebbe alla vigilia della stesura di una manovra in cui non si potrà ricorrere all’extradeficit, in cui le misure dovranno essere finanziate o con nuove entrate o con tagli.
A suggerire lo stop è stata la reazione di Forza Italia ma, come detto, anche quanto accaduto a piazza Affari. Le ripercussioni sui titoli hanno indotto soprattutto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti a chiedere più prudenza, nonostante proprio lui fu l’anno scorso artefice della prima ipotesi di tassazione, assecondando la volontà politica della premier Meloni.
La presidente del Consiglio, il sottosegretario Fazzolari e il viceministro al Mef Leo all’idea sono affezionati. E i numeri non è che gli danno torto. Il 2023 si è chiuso per le prime cinque banche italiana con profitti pari a 21 miliardi. Il totale del sistema bancario è di 40 miliardi. I prestiti concessi sono in calo, ma i tassi restano alti. E quando l’anno scorso in manovra il governo ha cambiato la norma sugli extraprofitti, consentendo di scegliere tra versare la tassa o destinare i soldi al rafforzamento del proprio capitale, gli istituti hanno scelto la seconda opzione. Il ricavo stimato di 4 miliardi è dunque diventato del tutto aleatorio.
Riparlare di extraprofitti significa però rimettere in piedi lo scontro con gli istituti di credito. Appena mercoledì l’ad di Mediobanca, Alberto Nagel, ha ricordato che «le banche, facendo dei profitti robusti, contribuiscono in maniera rilevante al gettito fiscale e le banche italiane sono quelle con la tassazione fra le più alte in assoluto». Non è difficile ricordare che nell’autunno del 2023 espresse «grandi perplessità» sugli extraprofitti anche Marina Berlusconi.
Per le opposizioni la polemica sugli extraprofitti è grasso che cola. M5s e Avs, Conte e il duo Fratoianni-Bonelli, la prendono sull’ironia: «Suvvia, nessuno ci crede...», dicono circa i propositi del governo. Ma fanno anche capire di essere disposti a vedere le carte, se questo significa evidenziare le contraddizioni nella maggioranza.
Anche il Pd sta pensando di accettare la sfida, puntando sul fatto che l’esecutivo di nuovo dovrà fare retromarcia. Tuttavia anche i dem hanno le loro spaccature interne. Ieri il senatore Filippo Sensi ha parlato di «misura sbagliata e iniqua» ispirata dal «sottosegretario al populismo», dice con riferimento a Fazzolari. Non sembra essere la linea di Elly Schlein.
Sta di fatto che le voci tornate a circolare di una tassa sugli extraprofitti da inserire nella prossima Legge di Bilancio e l’avvicinarsi di una prospettiva in cui le politiche monetarie dall’Europa all’America saranno segnate da una discesa dei tassi d’interesse, hanno mandato a picco i titoli delle banche e, più in generale, i mercati azionari. Il classico “venerdì nero” delle Borse. Piazza Affari ha lasciato sul campo il 2,55% con l’indice Ftse Mib scivolato a 32.018,82 punti, ovvero su livelli minimi che non si vedevano da oltre cinque mesi. In 48 ore Milano ha bruciato 40 miliardi di euro di capitalizzazione. Ad andare a picco soprattutto i titoli degli istituti credito, appunto: Mps -5,4%, Intesa Sanpaolo -4,8% e UniCredit -4,75%.
La caduta dei titoli bancari ha portato la Consob ad accendere un faro sulle vendite. L’authority di vigilanza, come avviene sempre in presenza di forti oscillazioni, ha avviato accertamenti, anche per quanto riguarda le vendite allo scoperto, per verificare la concentrazione degli scambi e la coerenza rispetto ai flussi informativi.
Ma non sono state solo le banche italiane e Piazza Affari a soffrire. La maglia nera per le Borse continentali va ad Amsterdam, che registra un -3,1%. Male anche Francoforte (-2,25%), Parigi (-1,6%), Londra (-1,3%) e Madrid (-1,66%). A trascinare giù le Borse europee è anche l’andamento di Wall Street figlio di dati americani sul mercato del lavoro piuttosto deludenti. Proprio gli ultimi indicatori su occupati e disoccupati, sotto le aspettative, secondo gli analisti aumentano le chance di un taglio dei tassi d’interesse della Fed a settembre, forse anche di mezzo punto. I dati negativi sui posti di lavoro e la disoccupazione in aumento riaccendono così le preoccupazioni su una potenziale recessione. Ma ad affossare la Borsa americana sono state anche le pessime trimestrali dei Bigh Tech: il sentiment è stato duramente condizionato dagli utili deludenti dei giganti della tecnologia Amazon e Intel, che hanno oscurato i numeri positivi del produttore di iPhone Apple.
I presagi di una giornata difficile per Wall Street e per le Borse europee c’erano già dalle prime ore dell’alba. Del resto la Borsa di Tokyo – appesantita anche dal recente rialzo dello yen, dovuto alla decisione in controtendenza della banca centrale giapponese che in settimana ha alzato i tassi – è crollata del 5,73%. Si tratta della seconda performance peggiore della sua storia.
Giornata di tensioni anche sul fronte obbligazionario: lo spread fra Btp e Bund ha chiuso in rialzo a 146 punti.