Una cosa è certa: visto dalla "terra dei fuoichi" lo scollamento tra i palazzi del potere e il popolo sovrano è grande. Ed è inevitabile concludere che non si riesce - o non si vuole - sanarlo. Dopo anni di impegno, di sofferenza, di lotta da parte della gente di questo splendido e dolente territorio campano sembrava che qualcosa cominciasse a muoversi. Attenzione, regole, volontà politiche. Il decreto legge del dicembre del 2013 era diventato defintivamente legge, anche se aveva lasciato l’amaro in bocca a tanta parte dei nostri volontari. Non si capisce – o, forse, si capisce bene? – perché dopo aver previsto l’ arresto per chi brucia rifiuti nelle campagne, non si è voluto indagare per arrivare al mandante di quanto accade tra Napoli e Caserta. A pensar male si fa peccato, ed è vero. Eppure sono ormai troppi a pensare che non si indaga per "coprire qualcuno"… per non toccare i "pezzi grossi"… Non credo che sia bene fomentare questi pensieri, ma davanti all’ evidenza negata ognuno ha la possibilità – e il diritto – di pensare al peggio.Occorre fare chiarezza. Al più presto e nel migliori dei modi. Senza paure. Senza ipocrisie, senza interessi di parte o di partiti. La gente della "terra dei fuochi" aveva chiesto che non fosse mandato l’esercito, che rimarrà solo per anno, ma che fossero potenziate le forze dell’ordine presenti stabilmente sul territorio. Inutilmente. "Non alimentare allarmismi" è la parola d’ ordine di chi ha interesse a chetare e sopire, o – secondo i pensieri peggiori, che non vorremmo pensare – in un modo o nell’altro ha le mani in pasta in questa brutta storia.
Quel poco che si è ottenuto, per di più, è stato solo grazie al sempre più forte grido di dolore di questa gente ferita e uccisa. E a quanti, grazie anche al giornale che avete tra le mani, l’hanno ascoltato. Se non ci fossero stati quegli uomini e quelle donne che si sono impegnati e, infine, coinvolgendo decine e decine di migliaia di persone, sono scesi in piazza, e se per mesi "Avvenire" non ci avesse tenuto in prima pagina, oggi nemmeno staremmo qui a parlare della "terra dei fuochi". Due anni faticosissimi. Due anni di incontri, dibattiti, proteste, petizioni, cortei, richieste, prime risposte, promesse. Poi all’ improvviso la tegola in testa. Dicono che non è così, ma nei fatti sono stati sospesi i prelievi di terreno per verificare il livello di contaminazione. Il motivo? Occorre prima accertarsi che non vi siano rifiuti radioattivi interrati in profondità. E la gente normale, sta esplodendo di rabbia. Non siamo esperti di niente. Non siamo tecnici e nemmeno scienziati. Non siamo politici. Siamo solamente persone di buona volontà che stanno morendo di cancro e di paura, ma si battono a viso aperto e non si rassegnano. Siamo semplici cittadini, che – a costo zero per le casse dello Stato – si sono accollati per amore il peso di un popolo che non trova interlocutori se non in tempi di elezioni. E siamo persone che continuano a ragionare e, dunque, a chiedersi: ma le due cose – esami e cautele – non possono andare insieme? E ancora: come mai gli esperti non hanno ricordato che prima di scavare occorre accertarsi che non vi siano rifiuti radioattivi?Intanto si continua a morire. Michele aveva solo 49 anni e tre figli da amare e da seguire. In due mesi il cancro lo ha distrutto. Nella chiesa strapiena sento su di me gli sguardi angosciati della gente del mio paese. Viviana, invece, di anni ne aveva solamente cinque, quattro dei quali vissuti in ospedale. Alessio è volato via a 25. La mamma di Marcianise, pianta da 4 figli, è arrivata a 36. Potrei continuare fino allo spasimo. Qualche mese fa, durante un incontro all’Istituto Pascale di Napoli, il più importante centro del Meridione per lo studio e la cura delle patologie oncologiche, il direttore Tonino Pedicini, disse: «Occorre ammettere con umiltà che la scienza per quanto riguarda il nesso di causalità tra cancro e rifiuti interrati o bruciati nella "terra dei fuochi" ha peccato di superbia. È vero, in quella fascia di terra a cavallo delle provincie di Napoli e Caserta ci si ammala e si muore più che altrove». Poi mi passò un foglio dove un puntino rosso indicava un luogo e mi sussurrò: «E tra questi paesi, Caivano occupa uno dei primi posti…». Caivano è il paese dove il Signore mi ha chiamato a essere parroco. La mia gente soffre e muore. Posso non vedere? Posso tacere? In un convegno tenutosi a Orta di Atella, il primario oncologico di un ospedale della zona, dopo una mia precisa domanda, ha ammesso l’aumento di patologie tumorali, in particolare in certe zone. A ridosso di Casal di Principe, in particolare, si assiste a un aumento di tumori al testicolo. I freddi numeri della scienza, diventano volti, mani, palpiti di cuore, paura, speranza per tutti noi. Eppure si continua a dire e non dire. Spesso a bassa voce, e lontani dalla telecamere. E questa storia sta riprendendo una brutta piega. Ma non si può esasperare questo popolo. Bisogna smetteterla di vendere fumo. Il fumo ci uccide. Serve il coraggio della verità, e serve la forza vera e buona della legge. Con la gente, per la gente.