Le liberalizzazione del gioco d’azzardo non ha tolto «risorse alla criminalità», piuttosto «progressivamente, e anzi esponenzialmente, è aumentata l’infiltrazione nel settore della criminalità organizzata » che «sta acquisendo quote sostanziose del mercato del gioco». Grazie anche ad «un’imprenditoria collusa a sua volta legata ad ambienti istituzionali». E questo anche a fronte di un calo della giocate di poco più del 3%, riscontrato per la prima volta nel 2013. Lo scrive la Direzione nazionale antimafia (Dna) nella Relazione annuale, datata gennaio 2014. Parole che seguono quanto detto due giorni fa ad Avvenire dal capo della Dna, il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. «La legalizzazione non ha sottratto spazi ai clan perché questi fanno sempre un’offerta concorrenziale». E nella Relazione questa affermazione è rafforzata nel capitolo «Infiltrazioni della criminalità organizzata nel gioco (anche) lecito», elaborato dal consigliere della Dna, Diana de Martino. Capitolo che, a conferma della gravità della situazione, cresce rispetto a quello dello scorso anno, passando da 15 a 20 pagine, il più lungo della Relazione subito dopo quello dedicato al 'narcotraffico'. E anche questo la dice lunga sugli attuali affari delle mafie. «In definitiva – si legge ancora – la criminalità organizzata sta acquisendo quote sostanziose del mercato del gioco, evidenziando un legame sempre più intenso ed avanzato con l’imprenditoria. Le organizzazioni criminali esprimono, o si alleano, con soggetti particolarmente dotati sotto il profilo imprenditoriale, capaci di gestire complessi meccanismi aziendali, di sovraintendere a più società che offrono diverse tipologie di gioco, e in grado di gestire una serie di 'punti gioco', sovente dislocati in varie parti del territorio nazionale. Si tratta dunque di vere e proprie imprese criminali».Ma attenzione, avverte la Dna, «la presenza mafiosa nel settore non deve essere intesa come una deriva limitata al gioco illegale, essa si estende infatti anche al perimetro delle attività legali». Parole molto chiare seguite da una raffica di esempi: «Ciò avviene – si legge infatti – quando i clan impongono a tutti i bar esistenti nel loro territorio di 'mettere' le new slot e di noleggiarle dalle ditte ad essi riconducibili; o quando investono i loro capitali acquisendo la gestione di sale giochi o bingo allo scopo di moltiplicare rapidamente l’investimento. Si tratta di attività formalmente legali, gestite però con metodi e capitali criminali». E il 'boom' del gioco ha sicuramente aiutate le cosche. Anche qui la Procura antimafia è chiarissima. «Non vi è dubbio che l’enorme incremento che ha avuto la diffusione del gioco negli ultimi 10 anni, in cui la raccolta ufficiale è quadruplicata passando da 20 ad 80 miliardi, ha fatto parallelamente crescere gli appetiti delle mafie, che hanno investito nei settori che più incontrano i gradimenti del pubblico (new slot e scommesse on line) ed hanno anche sviluppato adeguate professionalità specializzando, per così dire, alcuni affiliati nello specifico settore». Un affare nel quale tutte le mafie si sono lan- ciate. «Si può tranquillamente affermare – prosegue la Relazione – che gli interessi in gioco sono tali che tutte le mafie tradizionali 'investono' nel settore». E tanto per dare «un’idea del volume di soldi che muove il comparto» cita Renato Grasso, «imprenditore che si era alleato con tutti i più grandi clan camorristici per imporre le sue 'macchinette' nelle zone da essi controllate » e che versava - soltanto al clan dei casalesi la somma mensile di 100mila euro». La legalizzazione non ha dunque tento fuori i clan. E qui la Dna usa parole pesanti. «Sono stati del tutto frustrati gli intendimenti del legislatore che, con le liberalizzazioni del 2003 e con i successivi provvedimenti, intendeva accrescere l’offerta di gioco per attirare e fidelizzare i giocatori al sistema del gioco legale e drenare così risorse alla criminalità. La diffusione del gioco è sì aumentata (con una serie di implicazioni sociali su cui non è compito di questo Ufficio soffermarsi) ma progressivamente, ed anzi esponenzialmente, è aumentata l’infiltrazione della criminalità mafiosa». Contro questa infiltrazione i controlli sono insufficienti, denuncia la Procura. «La normativa più recente ha tentato di introdurre alcuni presidi per contrastare tale infiltrazioni... tuttavia le indagini che sono state portate a compimento dalle Dda, ed ancor più quelle ancora in corso, evidenziano la persistente incapacità di effettuare seri e sistematici controlli sulla galassia degli operatori a causa della scarsità di personale idoneo, la difficoltà di attivare efficaci procedure sanzionatorie pur in presenza di gravi violazioni da parte dei concessionari, e - più in generale - un radicato sistema di connivenze che investe ora funzionari pubblici, ora appartenenti alle Forze dell’ordine e che di fatto agevola in modo consistente le organizzazioni criminali che operano nel settore ». E c’è di peggio perché, conclude la Relazione, «da alcuni procedimenti emerge un sistema di relazioni di potere che lega le organizzazioni mafiose ad un’imprenditoria collusa, che in alcuni casi risulta a sua volta legata ad ambienti istituzionali».