Contro la «miopia» della politica, è sempre più urgente una mobilitazione dal basso. «Sconfiggere il Far West dell’azzardo significa vincere una grande sfida educativa», spiega
suor Alessandra Smerilli, professore straordinario di Economia politica alla Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione Auxilium a Roma, tra i firmatari dell’appello SlotMob, rilanciato da
Avvenire, che ha chiesto ai parlamentari di accelerare sulle nuove regole. «Da una parte, in questi mesi, grazie alle iniziative sul territorio abbiamo assistito a una partecipazione importante, di popolo – racconta suor Alessandra –. Nei bar e nei luoghi pubblici in cui si dice no al gioco d’azzardo, si fa formazione e informazione. È il volto bello e gioioso di una consapevolezza nata in modo spontaneo. La cosa più preoccupante, invece, riguarda le istituzioni: è la mancata consapevolezza che un affare come questo, completamente in mano alle multinazionali, diventa un inganno di Stato. Pensi a cosa succederebbe se i soldi finiti nelle casse dei grandi gruppi del gioco, venissero utilizzati per dare ossigeno all’economia e per rilanciare i consumi...»
La società civile è sempre più mobilitata contro l’azzardo. Le istituzioni politiche, invece, frenano nell’attuazione di politiche in grado di combatterne le conseguenze sociali. Perché? Innanzitutto bisogna distinguere la politica nazionale da quella locale, che è sensibile e si sta muovendo molto, purtroppo senza strumenti adatti, perché manca una legge nazionale. La proposta di legge è bloccata per mancanza di copertura, si dice. Io credo che ci sia miopia da una parte (per l’incapacità di trovare risorse alternative all’eventuale riduzione del gettito erariale) e dall’altra incapacità di rappresentare gli interessi di tutti. La politica è di fatto ingabbiata dalle
lobby. I numeri parlano di 2 miliardi sottratti al Fisco e di circa 6mila centri non autorizzati... Il punto è che, da quando si stanno 'legalizzando' sempre di più le scommesse sui giochi, la quota illegale stimata non è diminuita. Cresce quella legale, legata alle concessioni, e paradossalmente non aumentano parallelamente in percentuale le entrate per lo Stato.
Qual è il risultato dell’azione messa in campo da SlotMob? Hanno partecipato 74 città, oltre 10mila persone, quasi 200 organizzazioni. Sono il punto di riferimento per tanti enti locali, che ci hanno chiesto aiuto per sensibilizzare l’opinione pubblica e per fornire documenti e leggi non attaccabili da parte dei gestori e dei concessionari.
Sul territorio c’è la percezione che siamo di fronte a una grave emergenza educativa? Il territorio diventa sempre più consapevole, grazie anche alle azioni dal basso che si stanno mettendo in campo. Il problema è che, spesso e volentieri, l’impegno degli enti locali è ostacolato dal fatto che le concessionarie ricorrono al Tar e bloccano tutto. Proprio per questo, servirebbe una legge quadro che agevoli il compito agli amministratori virtuosi. L’altro aspetto fondamentale riguarda la scuola: c’è una sensibilità crescente, sul tema, da parte di molti insegnanti che ci hanno chiesto aiuto negli istituti scolastici. Ci sono oggi 800mila adolescenti vittime dell’azzardo, e ancora più pericolosa è la cultura che si sta diffondendo.
Come intervenire? È necessario aumentare la consapevolezza. Bisogna arrivare, come avviene nella maggior parte dei Paesi europei, a non avere le
slot machines nei bar e nei pressi delle scuole. Sostenere i locali senza slot, alzare il livello del dibattito politico e culturale, spingere per una legge che vieti la pubblicità e dia liberamente poteri ai politici locali di intervenire in materia. Infine, nel lungo periodo bisognerebbe affidare le concessioni per l’azzardo non a multinazionali
for profit, ma a organizzazioni che non dovrebbero avere come obiettivo i guadagni sulla diffusione dell’azzardo.