Uno Stato può «vietare totalmente o parzialmente» il gioco d’azzardo o limitarlo con «modalità di controllo più rigorose», e questo è «giustificato» da «motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori nonché la prevenzione delle frodi e dell’incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco». Inoltre, per quanto riguarda nello specifico la normativa italiana, «l’obiettivo attinente alla lotta contro la criminalità collegata a tali giochi è idoneo a giustificare le restrizioni alle libertà fondamentali derivanti da tale normativa». C’è dunque «un ampio potere discrezionale» che si basa sulla «propria scala di valori», «di ordine morale, religioso e culturale». Lo scrive la Corte di giustizia europea nella sentenza con cui respinge il ricorso contro l’Italia della Stanley International Betting, uno dei big delle scommesse che chiedeva l’annullamento della gara del 2012, criticando la durata delle nuove concessioni (40 mesi), molto inferiore rispetto alle precedenti (tra 9 e 12 anni).In primo luogo la Corte di Bruxelles "bacchetta" la società che riteneva di aver avuto una disparità di trattamento rispetto a quelle che avevano ottenuto la concessione nel 2006. Lo fa ricordando che Stanley International e la sua consociata maltese «operano nel territorio italiano tramite i CTD (Centri trasmissione dati) da circa quindici anni senza essere in possesso di titoli concessori e senza autorizzazione di polizia, sicché esse non possono essere propriamente qualificate come "nuove entranti sul mercato"». Come dire che hanno fatto ricchi affari pur fuori dalle regole italiane. Inoltre, aggiungono i magistrati europei, «se è vero che le nuove concessioni hanno minore durata rispetto a quelle rilasciate in passato, esse sono però anche meno onerose e meno impegnative economicamente». Dunque, sentenzia la Corte, «il rispetto dei principi di parità di trattamento e di effettività risulta garantito».Ma al di là del merito delle decisione, sono molto importanti le affermazioni sulla correttezza delle norme che intendono limitare l’azzardo. I giudici Ue sottolineano, infatti, che «si deve ricordare il carattere peculiare della disciplina dei giochi d’azzardo, che rientra nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri notevoli divergenze di ordine morale, religioso e culturale». Per questo, aggiungono, «in assenza di un’armonizzazione in materia a livello dell’Unione europea, spetta al singolo Stato membro valutare in tali settori, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi coinvolti comporta».Una sentenza molto apprezzata dal Governo. «Rappresenta un rilevante passo in avanti, in quanto, stabilisce che lo Stato italiano si è mosso in coerenza con la legislazione europea» afferma il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta sottolineando che «ne esce, così, rafforzata la scelta di combattere il gioco irregolare». Ed «è importante perché arriva a valle della legge di Stabilità che stabilisce un aut aut tra chi sta dentro e chi sta fuori dal sistema dei giochi gestiti dallo Stato e in previsione della ormai imminente applicazione della delega fiscale, con la quale si riorganizza l’intero settore». Parole commentate da Paola Binetti, deputata di Area popolare e relatrice in commissione Affari sociali del ddl sull’azzardo. «Bene la dichiarazione del sottosegretario riguardo alla revisione della delega fiscale per la riorganizzazione della salute pubblica. Ma tutela della salute e lotta all’illegalità non sono solo problemi fiscali: urgono norme più precise, come ad esempio quelle del ddl sul gioco d’azzardo patologico, in attesa di essere discusso alla Camera da mesi. Si passi da affermazioni di principio a concretezza dei fatti».