Felice, finalmente. Si è sciolta in lacrime, una volta al sicuro, tra le braccia del marito Fady che l’ha accolta lunedì sera allo scalo romano di Fiumicino. Aya Bawadri, 18enne siriana con un tumore osseo a una gamba, è tornata nello stesso aeroporto dal quale era stata respinta più di un mese fa perché trovata in possesso di un passaporto falso. «Ero spaventata quando mi hanno fatto salire sull’aereo per Istanbul. Pensavo di morire – racconta al telefono ad
Avvenire – avevo il panico di non poter più ritornare in Europa». Quella di Aya è una storia a lieto fine grazie all’impegno del senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione per i diritti umani, e di un gruppo di volontari italiani che subito si sono attivati per aiutare lei e il marito. La giovane è fuggita da guerra e violenza. Ma la ragazza deve combattere anche contro un osteosarcoma di secondo grado, tumore molto aggressivo che le era stato diagnosticato un anno fa. Aya non può curarsi in Siria e così raggiunge il Libano, dove si sposa con Fady, 31enne siriano che vive in Svezia da due anni come rifugiato. A pochi giorni dalle nozze, la coppia parte per l’Italia e atterra a Fiumicino il 6 ottobre. Ma quando la polizia di frontiera scopre che il passaporto della ragazza è falso, subito scatta l’allarme: Aya viene rimandata in Turchia e da lì a Beirut. Il certificato di matrimonio con un uomo che ha titolo di soggiorno in Svezia e la documentazione medica non vengono presi in considerazione. «Se la rimandate indietro la uccidete!», grida il marito. Non solo le sue parole non vengono ascoltate, ma il ragazzo viene arrestato con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e condotto in carcere a Civitavecchia. Ora è stato rilasciato, ma non può lasciare l’Italia in attesa del processo.La notizia del respingimento inizia in breve tempo a rimbalzare sui social network. Decine di persone si attivano per trovare una soluzione alla vicenda: da semplici cittadini che hanno organizzato una raccolta fondi per le spese sanitarie, fino al senatore Manconi che ha seguito la vicenda giorno per giorno. Aya ha potuto rientrare in Italia grazie a un visto rilasciato dall’ambasciata italiana a Beirut per motivi sanitari. Ma solo a patto di avere una struttura ospedaliera disposta a ricoverare la ragazza e qualcuno che garantisse la copertura delle spese mediche. L’Ospedale San Camillo si è reso disponibile a soddisfare la prima richiesta, mentre l’associazione «A buon diritto» ha fatto da garante. Oggi Aya ricomincia a sperare. «Ma è impensabile che ci siano voluti 40 giorni per risolvere una questione che si presentava come caso umanitario – commenta Luigi Manconi – malgrado i ministeri di Esteri, Interno e l’ambasciata italiana a Beirut abbiano dimostrato subito sensibilità per la vicenda». In presenza di gravi condizioni di salute, dovrebbe esserci un automatismo di tutela dei richiedenti asilo vulnerabili.
(Ha collaborato Tarek Ahmad)