mercoledì 6 marzo 2024
L'attenzione della Cesi per l'iter della proposta attualmente in discussione alla Camera: può avere «un impatto disastroso» sull'Isola
La cattedrale di Palermo

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È un grido d'allarme. E anche un invito al mondo politico a riflettere. E magari a cambiare. Già perché la proposta di legge sull'Autonomia differenziata (attualmente in discussione alla Camera dopo l'approvazione in Senato il 23 gennaio scorso) rischia di avere un «impatto disastroso» sulla Sicilia. I vescovi delle diocesi di Sicilia seguono con attenzione l'iter del provvedimento e sentono l'urgenza di ufficializzare una posizione unitaria di forte preoccupazione. Parlano di un testo che mette a «rischio l'unità nazionale» a favore di «spinte secessioniste istituzionalizzate», creando così «disparità di trattamento» a danno della solidarietà nazionale.

Il testo è sotto la lente dei vescovi siciliani da sempre. Già il 23 maggio 2023 la Conferenza episcopale siciliana (Cesi), attraverso il vescovo delegato per la pastorale sociale, aveva presentato le osservazioni all'originario disegno di legge. Osservazioni - si legge in una nota dei Vescovi - «regolarmente registrate presso la commissione Affari costituzionali del Senato». Molte sono state recepite. Molte però ancora restano. E ancora preoccupano. E allora il nuovo intervento dei Vescovi va letto come uno stimolo alla politica ad affrontare gli «squilibri strutturali ed economici del Mezzogiorno» evitando rischi di spinte secessioniste. Squilibri economici che verrebbero acuiti anche dalla riduzione del cosiddetto “fondo complementare” da 4 miliardi e 400 milioni di euro, a poco più di 700 milioni di euro. Questo sarebbe un nuovo colpo alle regioni più povere. A cominciare dalla Sicilia che secondo gli studi fatti dalla Ragioneria Generale dello Stato, perderà 1 miliardo e 300 milioni di euro circa l’anno: un impatto disastroso per una economia già in grande sofferenza.

Prima di tutto i poveri, ripetono i vescovi siciliani. E la loro è una analisi dettagliata. Ricca di richiami alla politica. A considerare e a salvaguardare i livelli minimi di assistenza. A tutelare e a difendere la sanità nelle regioni del Sud. A non togliere risorse anche a istruzione, ambiente e mobilità nelle Regioni meridionali. E a scongiurare un aumento progressivo e costante del divario territoriale.

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