Non è un paese per insegnanti. Sottopagati rispetto alla media europea, costretti ad anni di precariato e a forzate trasferte pur di lavorare (per non aprire il capitolo, doloroso, delle contestazioni da parte di genitori e alunni) i docenti italiani sono alle prese con l'ennesima rivoluzione. Non una riforma vera e propria (Renzi si è limitato a chiamarla "patto culturale") ma senz'altro un cambio di registro. E di cattedra. Per i 150mila fortunati che rifalmente verranno messi in regola (vale a dire assunti dopo anni di contratti a termine) molti altri, precari di lungo e di breve corso, sono destinati a restare senza alunni e stipendio. L'obiettivo del governo è abolire i supplenti e andare avanti, in un futuro a medio termine, con assunzioni dirette.
La flotta degli aspiranti insegnanti però non accenna a diminuire. Migliaia di neo-diplomati sono alle prese con gli ultimi giorni di studio per accaparrarsi uno dei posti da matricola di Scienze della formazione primaria, laurea indispensabile per diventare "maestra" o meglio docente alla scuola primaria. A disposizione solo 5.399 posti: una competizione serrata visto che a superare la prova saranno solo gli studenti con una votazione finale di almeno 55 punti su 80: vale a dire una percentuale del 70% di rispopste corrette. I candidati dovranno rispondere in 150 minuti a 40 domande di competenza linguistica e ragionamento logico, 20 di competenza letteraria, storico sociale e geografica e 20 di cultura matematico-scientifica. Previsto anche un bonus linguistico per chi conosce le lingue (e può esibire una certificazione almeno di livello B1). Il percorso di abilitazione, sinora articolato su più strade, nelle intenzioni del governo diventerà più lineare: la formazione vera e propria, con tanto di specializzazione, e sei mesi di tirocinio in un istituto, per toccare con mano le difficoltà del mestiere. A decidere sulle effettive capacità saranno i potenziali colleghi, chiamati a promuovere o bocciare l'aspirante insegnante.